ABILITARE ALLA RESILIENZA. Contributi del modello transazionale all’inquieto vivere

Inviato da Nuccio Salis

palla acqua

Una persona, immersa in un problema, riceve una spinta verso l’alto pari all’intensità del cambiamento che lo ha destabilizzato. Questo immaginario principio, potrebbe far pensare alle capacità di reazione di fronte alle difficoltà significative sopraggiunte. Non sempre, le persone sono in grado di attivare quella importante competenza di fronteggiamento delle problematiche esistenziali, per ragioni di varia natura. Resistenze ideative, illusioni di controllo della realtà, rigidità e impreparazione alla gestione dell’imprevisto, destabilizzazione oggettivamente rilevante e traumatizzante, sono alcune fra le generali motivazioni che inducono un individuo a vivere una notevole difficoltà quando si tratta di districarsi fra i nodi e i grovigli delle difficoltose vicende personali.

La discrepanza fra obiettivi preposti e limitazioni imposte dalle condizioni del quotidiano, conduce di frequente a un necessario ridimensionamento, che include spesso una vera e propria rinuncia ai propri legittimi progetti e auspici da realizzare. Ciò apre la via a quelle esperienze di frustrazione che ammorbano importanti abilità di resilienza, che spingono verso gli anfratti del nichilismo, dell’apatia e della rassegnazione; condizioni per le quali, appunto, si può diventare, direttamente o meno, appellanti di un intervento di aiuto.

 

Attivare quella forza latente in grado di far fuoriuscire la persona dall’impasse, è esattamente il compito del consulente che offre il suo prezioso sostegno per valorizzare la potenza rigeneratrice insita in ciascun individuo, da legare in ogni caso alle reali contingenze presenti nell’ambiente del soggetto. il progetto che riabilita alla vita, infatti, non può alimentare una progettualità favolistica, ma deve offrire alla stessa una impalcatura di sufficiente solidità che possa, con il contributo attivo del consultante, determinare un possibile terreno di concreta rivincita, in grado di far cioè germogliare risultati esperibili e incoraggianti. In pratica, le persone si incoraggiano coi fatti, non coi predicozzi, soprattutto quando sono prodotti da posizioni privilegiate e sentite come distanti. Tuttavia, di fronte ad episodi di forte scoramento e resistente ripiego e rinuncia all’azione, è necessario condurre prima la persona a ritrovare o abilitare quel senso di iniziativa utile alla programmazione di sé e dei propri obiettivi, da adempiere secondo un rinnovato senso di autodeterminazione e percezione del desiderio e del diritto al riscatto.

Domande e curiosità in proposito, mi conducono a ricercare ed a chiedermi su quali dimensioni della persona si possa lavorare, per poter far riconciliare la stessa con un nuovo impulso vitale, ristoratore e costruttivo. In forza della ricerca e della letteratura prodotta, si può attingere ad un vasto corollario di modelli e orientamenti, che si offrono come interventi risolutivi e di efficace comprensione e sollecitazione di dinamiche reattive e vitali.

Essendo personalmente specializzato nell’approccio transazionale, non ho potuto fare a meno di associare i tratti decisivi del “carattere resiliente”, individuati in letteratura, con gli stati dell’Io tradizionalmente descritti dalla teoria della struttura personologica secondo Eric Berne.

Una psicologa statunitense, Susanna Kobasa, mise in evidenza durante i primi anni Ottanta, la serie caratterizzante le personalità cosiddette forti, in grado di rispondere alle sollecitazioni infauste degli episodi destabilizzanti nella propria vita, in termini di distress e di cambiamenti di non facile sopportazione. Secondo l’autrice, tali tratti sono da riconoscere nell’impegno, nel controllo e nel gusto per le sfide.

L’impegno, se letto in termini valoriali, rappresenta un elemento nell’orizzonte etico della responsabilità. Assumersi impegni, infatti, richiama la capacità di attendere a compiti stabiliti, ad adempiere a scelte personali o condivise, a porsi in dirittura di traguardi concordati. L’impegno, condotto col rigore decisionale e dell’azione seguente, obbliga al valutare il legame causale fra l’espressione della propria opera in atto e gli effetti rispondenti che si attuano nell’ambiente sociale. Comprendere questo legame esalta il proprio senso partecipativo, e se vincolato a costruttivi principi interni, aiuta ad avvertire il dovere di muoversi in modo avveduto, mediante condotte in linea con la propria struttura di valori acquisita.

Ciò induce a collegare questi aspetti alle dinamiche dell’Io-Sé Genitore, nucleo della personalità formato dalle esperienze di contatto con le ingiunzioni e le doverizzazioni di un sistema parentale che ammaestra fin da piccoli a costruire un orientamento valoriale di senso, costruito per la maggiore dal potere di trasmissione intergenerazionale della cultura famigliare di riferimento. La qualità processuale di questa dinamica è il tema dentro cui si gioca la tipologia espressiva del contenitore Io-Sé. In estrema sintesi, si può giusto considerare auspicabile una giusta dose di principio del dovere che non sia né troppo assottigliata e nemmeno iper-energizzata fino alla rigidità.

La seconda dimensione in discussione è quella del controllo. Interpretato alla luce di un principio di adesione alla realtà e agli elementi di una conoscenza contestualizzata nel noto del qui e ora, esso attiene a quella capacità di monitoraggio senziente di ciò che esperibile nella quotidianità più prossima ed immediata. Da tale capacità, infatti, si articola di seguito la pratica della programmazione in seno alle azioni funzionali da intraprendere, cioè alle condotte ritenute più congrue nel raggiungimento dei propri obiettivi. Risultano tutte competenze adducibili allo stato dell’Io-Sé Adulto, attraverso cui avviene (salvo i casi relativi al fenomeno della contaminazione) la lettura della realtà in termini descrittivi, neutri, e colta nei dinamismi causali fra le variabili che ve ne fanno parte.

Nel gusto per la sfida sono facilmente ravvisabili quei contenuti che fanno parte del nostro elemento egoico più arcaico e connaturato con la psiche più recondita e in un certo senso più immatura dal punto di vista dell’elaborazione cognitiva. È tuttavia proprio questo aspetto, però, che ci permette di compiere quella necessaria attività esplorativa e di ricerca, che se sostenuta dal contenitore protettivo dato dai precedenti stati analizzati, può determinare le condizioni per metterci in una prospettiva di continua ricerca e piacere della scoperta. Sono questi i parametri che definiscono l’inclinazione sana con cui si deve intendere l’espressione “gusto per la sfida”; cioè un comportamento che non è mai una condotta disturbata e disturbante che trascende in manifestazioni lesioniste, siano esse autoreferenziali , etero o entrambi.

Pertanto, tirando le somme, la stimolazione e la crescita delle abilità resilienti è un percorso che coinvolge le parti espressive più sane di un individuo, da far progredire e maturare come utili e reali strumenti di cui avere consapevolezza, per facilitare nella persona un senso di autodirezione, accompagnata dal desiderio di riattivarsi per assaporare il gusto della rivincita. Si tratta di facilitare la soddisfazione di un diritto e di un bisogno di ciascuna persona che decide di vivere, assumendosene sia i decantati privilegi che gli inevitabili rischi. La piena consapevolezza e autogestione di tali aspetti, aiuta la persona a costruire una propria direzione di senso e una costellazione di significati, cioè ad alimentarsi del carburante principale che offre la motivazione principale a scegliere sempre la vita, ed a sviluppare, a volte con l’aiuto, gli strumenti adatti per accettare di fronteggiarla nella difficoltà.

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