DOMANDE E PROPENSIONE ESPLORATIVA. Paradigmi della ricerca di sè

Inviato da Nuccio Salis

 esplorarsi

“Quando si è potuto fare tutto quello che si poteva fare, non rimane altro che quello che si potrebbe ancora fare, se si sapesse”. Stavolta comincio l’elaborazione dell’articolo partendo da una citazione. Per la precisione riporto una frase del noto studioso e ricercatore svizzero Carl Gustav Jung, conosciuto soprattutto per essere il fondatore della psicologia analitica. L’approfondimento teoretico che potrebbe svilupparsi dalla riflessione dell’autore, ci porta a constatare l’esistenza della continuità della conoscenza, o quantomeno a contemplarne la possibilità, seppur a seguito di risultati già eventualmente raggiunti e validati, intendendo sia nel senso strettamente scientifico ma anche riservatamente esistenziale. In pratica, qualunque tipo di ricerca orientata alla possibilità di espansione dei propri percorsi, può avvalersi di un paradigma della continuità, che può renderci instancabili ed indefessi avventurieri dell’esperienza della scoperta, della crescita evolutiva e del vero progresso. Fra l’altro, è proprio l’attività esplorativa quella che conferisce e fonda senso al vivere secondo una personale rotta costituita dalla ricerca di sé, motivata dal carattere accattivante della conoscenza, incoraggiata dalla creatività, sostenuta dal gusto e dall’incantesimo della scoperta.

È questa esperienza che costruisce quella solida impalcatura da cui può nascere e forgiarsi un individuo, soprattutto se il suo rapporto con l’ambiente è reiterato e costruito in forza della capacità di conservare lo stupore e il senso della meraviglia. Sono essenzialmente queste, difatti, le caratteristiche che accolgono gli auspici per un sano percorso esistenziale connaturato da entusiasmo, vivificato dalla passione conoscitiva e arricchito dall’innovazione, intesa come tensione trasformativa di un Sé in grado finanche di esplorare le proprie istanze più recondite.

Porsi dentro una prospettiva di sviluppo, dunque, è il primo inquadramento necessario per realizzare la necessità di alimentare vita dall’esperienza, nel tentativo di generare percorsi di eccellenza creativa, riqualificazione intellettuale, capacità di mettersi in gioco e di esprimere le componenti realmente più gioiose, autentiche e genuine fra le dimensioni espressive di un essere umano. Stimolarsi attraverso domande a carattere esistenziale, per esempio, anche se per certi aspetti viene comunemente considerato un esercizio di mera ruminazione congetturale, apre invece numerose possibilità re interpretative di sé. Un counselor è tenuto a credere e soprattutto praticare questa attività, soprattutto dal momento che ha il compito di eccitarla negli altrui soggetti, affinchè, per l’appunto, riflettano prima di agire. Certo, si potrebbe obiettare che il valore della riflessione potrebbe anche non necessariamente assumere una declinazione umanistica, ma se anche qualora fosse diretto all’identificazione strategico-operativa per un concreto e rapido tornaconto, il mondo dell’immaginazione e delle soluzioni possibili rappresenta comunque quel ventaglio di idee e di ipotesi da cui attingere per programmare successivamente i piani di azione. Dunque, anche dentro un percorso la cui finalità è orientata all’intervento e alla soluzione in brevi tempi, la preliminare parentesi esplorativa in seno alle reali risorse e possibilità di azione si configura comunque come la prerogativa iniziale per sondare le competenze investibili, e per testare la disponibilità ad assumere l’iniziativa di procedere secondo un seguente progetto di azione concordato, vale a dire condiviso dentro la struttura interpersonale counselor/cliente, caratterizzata dall’alleanza.

Resta da chiedersi quali sono gli strumenti affidabili che possono sollecitare autoriflessività, capacità di rielaborazione, aggiornamento, destrutturazione e rimessa in discussione sui propri complessi vissuti e contenuti esistenziali. Dal momento che non è ammissibile infondere dall’esterno una struttura alternativa di convinzioni, ma mobilitare le capacità di autocentratura e ragionamento, in genere, le affermazioni direttive e le comunicazioni fatiche  vengono sostituite dalle domande, che pur constano di una loro valenza semi-direttiva, in relazione all’impatto psico-emotivo sul mondo esperienziale dell’interlocutore che le riceve. Tenendo presente questi aspetti, in questo contesto rimandabili alla succinta letteratura in merito, vi si adottano non a caso tutti gli accorgimenti necessari alla riduzione e alla gestione funzionale e strategica dell’impatto causato da una domanda. Avendo questa una funzione innegabilmente investigativa, comunque la si formuli e la si rivolga, meglio sarebbe provocare l’insorgenza della stessa nel soggetto a cui ci rivolgiamo, modellandolo sulla struttura della domanda aperta, atta a soddisfare curiosità e movimento esplorativo, dentro un orizzonte chiarificatore di sé e anche in rapporto alle personali coordinate esistenziali espresse nel proprio ambiente di riferimento.

Quali domande ciascuno può rivolgere a se stesso, al fine di meritare una migliore presa di coscienza?  La direzione da intraprendere riguarda la capacità di assumere l’iniziativa responsabile per dare seguito a congruenti azioni efficaci e risolutive per fronteggiare le proprie difficoltà, superare situazioni di stallo o realizzare leciti desideri o progetti stabiliti.

Gli studiosi della scuola della Gestalt suggeriscono la strategia delle 5 domande, presentandole verosimilmente come strumenti di prevenzione e controllo delle personali crisi esistenziali.

Le domande sono, nell’ordine,  le seguenti:

 

_ 1) “Cosa voglio?”: Il focus viene condotto sull’impegno relativo al chiarire ed esplorare l’area dei propri interessi. Individuare obiettivi e delucidare le priorità che ci si pone, aiuta a programmare un progetto di vita basato su un senso. Si tratta di identificare la motivazione che genera la legittimazione e la volontà di porsi dentro un cammino, mediante un approccio costruttivo.

_ 2) “Cosa sto facendo?”: È importante riflettere e sincerarsi su quanto si sta facendo per ottenere ciò che si vuole. Spesso si è convinti di fare a sufficienza, salvo poi ispezionare con maggiore attenzione il reale grado di impegno e di assertività usati e ritrovarsi a constatare ed ammettere di produrre azioni scarse o inefficaci, su un piano qualitativo, quantitativo o entrambi. È possibile utilizzare questa domanda per rilanciare azioni più efficienti e mirate al proprio scopo preposto.

_ 3) “Come mi sento?”: Ciò che fa il counselor durante il processo di sostegno e ascolto, dovrebbe farlo esattamente ciascuno di noi; cioè ricentrarsi da solo e facendo il punto sulle dinamiche emozionali in movimento. Esse, infatti, offrono un feedback prezioso, che restituisce molto spesso la bussola più affidabile circa il senso, la convenienza e l’importanza del cammino e della scelta intrapresi. Monitorare gli aspetti intrapsichici eleva davvero la qualità esperienziale delle proprie vicissitudini, aiutandoci a riscoprire parti di noi magari troppo taciute, sospese o addirittura censurate. Questa domanda ci obbliga a non divincolarci da noi stessi, a scoprire qualità e risorse da investire per il raggiungimento dei propri obiettivi , nonché a sviluppare una basilare percezione di autoefficacia.

_ 4) “Cosa evito?”: Importantissima domanda caratterizzata da un gradiente di urtabilità non certo trascurabile. Questo richiamo è un invito alla trasparenza con se stessi. Un’offerta dalla quale in troppi preferiscono affrancarsi. Scoprire cosa si evita, da una parte potrebbe far affiorare la possibilità di considerare proprio quel punto importante introdotto in apertura dalla citazione, ovvero fare ciò che ancora si potrebbe fare. Ciò richiede apertura, disponibilità a sovvertire eventualmente ciò che si credeva ostacolante in utile e amichevole. È all’interno di questo tipo di riflessione, che ciascuno ha la possibilità, che può certamente implicare anche sofferenza, di scoprire i propri fantasmi e i propri limiti.

_ 5) “Cosa succederebbe se non lo evitassi?”: Come già risposto nella precedente, tale riflessione aggiunge il plusvalore a un impegno supplementare già adottato dal momento in cui ci si chiede che cosa si evita. È la domanda che spinge alla contemplazione di un mondo possibile, attraverso piste e percorsi infrequentemente battuti o delineati da un qualche margine di rischio o ipotesi di azzardo. È la domanda che suggerisce di osare, di sfidare se stessi in termini esplorativi delle proprie qualità.

 

Certo, per essere traghettati dentro un tale percorso, senza avere la sufficiente maturità o senso di iniziativa personale, occorre in proposito la figura del facilitatore del compito, che guida, accompagna, sostiene, affianca, stimola e protegge, in un terreno in cui la finalità coincide con la stessa posta in palio del soggetto aiutato: l’autonomia esistenziale e progettuale della persona verso cui si presta la propria attenzione. Sarà quest’ultima, infatti, ad elevare se stessa come artefice della propria vita, assumendo capacità di scegliere e di cogliere profitto da tutte le occasioni di crescita e di sviluppo personale.

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