COLLOQUIO E COMUNICAZIONE: quando il counseling si fa parola

Inviato da Nuccio Salis

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1.Equivoci, malintesi, errori di interpretazione, sono fra le più comuni e frequenti incomprensioni che si verificano durante un dialogo. Vi sono numerose ragioni che causano difetti e interferenze nel processo della comunicazione fra parlanti. È importante conoscere le variabili che sviluppano la conduzione regolare di un processo comunicativo, al fine di prevenirne il malfunzionamento e agevolarne invece l’efficienza e la linearità.

Chi utilizza principalmente lo strumento del colloquio, durante tutte le fasi dell’intervento supportivo, è consapevole circa l’irrinunciabile esigenza di dedicare estrema cura alla parola e al contenuto di ciò che viene inviato verso il destinatario dell’opera di consulenza. Naturalmente, la parola non è la componente esclusiva verso cui promuovere una piena attenzione, ma rimane pur sempre la regina della comunicazione. Attraverso questo mezzo così sofisticato, che non ha pari con nessuna altra specie animale, è permesso all’essere umano di utilizzare questa meravigliosa dotazione come risorsa atta a promuovere contatto e apertura interpersonale.

La parola è portatrice di pensieri, significati, contenuti, narrazioni, ed anche quando è descrittiva, ovvero se riporta una realtà condivisibile e tangibile, si palesa in ogni caso all’interno di un contenitore che assume parte della forma dell’Io del suo messaggero. Ogni contenuto è accompagnato da espressioni paraverbali che offrono alla parola la facoltà di generare climi e atmosfere comunicative, mediante cui si sancisce il valore semantico dell’espressione recepita o consegnata all’ascoltatore, nel caso si fosse in posizione emittente. La parola, dunque, può suggellare il senso di un contenuto veicolato, rafforzarlo, negarlo, travisarlo in modo consensualmente ironico, creare spazi metacomunicativi di condivisione e di reciproca consapevolezza. Esiste un immenso potere aggregante nella parola, un potenziale di alleanza e di unione tale da sfociare anche nella fusione col divino, come ispirano infatti varie correnti religiose, associando la parola al mistero dell’origine dell’universo, al comandamento celeste, all’autorità salvifica divina, alla preghiera, al mantra, al rituale espiatorio o liberatorio, alle litanie liturgiche; insomma alla parola come braccio di collegamento fra microuniverso e macrouniverso. Ed anche al di fuori dell’aura sacrale, la parola può comunque assumere connotazioni ritualistiche che rilanciano un senso di comunione e alleanza fra gli umani. Accordi o patti di varia natura possono essere decretati mediante il giuramento di tenere alla parola data, come prova d’onore e di rettitudine morale. Va da se che chi adotta la parola come collante della relazione interpersonale, per aiutare un consultante in un percorso costruttivo di ristrutturazione di sé, dovrà ricorrere ad una equipaggiata fornitura di strumenti di controllo e monitoraggio in merito all’efficacia del messaggio comunicativo.

Ciò che infatti non bisogna dimenticare è che se esiste un aspetto legato alla potenzialità aggregante della parola, di contro, se non utilizzata in modo fertile si potrà ritorcere contro, causando quella spirale di incomprensioni che allontanano dalla verità dei contenuti e dalle reali intenzioni del parlante. Avere cura del processo discorsivo è dunque una competenza irrinunciabile del counselor, che ha il dovere di disporre di un registro linguistico elaborato, da gestire con competenza, adattandolo allo stile verbale di ciascun ospite. Il counselor dovrà dunque adoperare quei necessari accorgimenti e utili contromisure allo scopo di condurre una situazione colloquiale con la pertinenza di cui il suo interlocutore ha diritto. Per esempio egli dovrà ricordare a se stesso che il linguaggio non è solo struttura sintattica, ma è anche forma mentis, pragmatica, narrazione di un Io esperienziale, rappresentazione soggettiva del mondo, visione e significazione personale, espressione di identità, collocazione e appartenenza socio-culturale. La parola contiene tutta questa combinazione di variabili, di cui bisogna tener conto, al fine di garantire un principio di massimizzazione della qualità comunicativa. E questa può essere ottenuta impegnandosi nel prestare cura, a doppio binario, sia agli aspetti del contenuto che a quelli del processo, interrelati dal momento in cui si coglie e si vive la forza di ogni Io narrante come trascinamento verso la trasformazione di sé. E tale trasformazione è vicendevole, nel senso che gli elementi costituenti la coppia che interloquisce, si rimandano in vivo stimoli-feedback che possono destabilizzare e rimodellare le strutture intrapsichiche note. Ciò avviene se la relazione è caldamente coinvolgente e significativa.

 

2. Quali principi, dunque, dobbiamo applicare per garantire quanto più possibile l’efficacia della dinamica comunicativa? Il primo passo da fare è prendere atto dell’importanza della cura del messaggio in termini innanzitutto strutturali. Il dato da inviare deve essere misurato nella sua ampiezza argomentativa, e se risulta esteso, dovrà essere consegnato scegliendo fra una struttura sequenziale che ne semplifichi la complessità, oppure si potrà trasmettere scegliendo le informazioni strettamente essenziali ed esemplificative. Parallelamente, i contenuti dovranno essere quanto più possibile codificabili, tanto che una possibile moltitudine eterogenea possa comprenderli, e decisamente trasparenti anche nel senso della veridicità. Inoltre, le modalità di accompagnamento del messaggio dovranno favorirne la chiarezza e quindi attenersi alle regole efficaci della comunicazione, quindi avere quanto più possibile il carattere di essere constatabili e verificabili, attendibili, spassionati e sollecitanti al tempo stesso anche il dubbio o la ricerca. Congiuntamente a questo, si possono utilizzare quelle tecniche di “aggiustamento” che vengono in genere applicate in situazioni maggiormente collettive, quando magari ci si rivolge a un pubblico in una conferenza, si presenta del materiale di studio e di ricerca in un corso, in un workshop, in riunione o assemblee fra colleghi. Sulla stessa linea della restituzione parafrastica, infatti, si possono adottare forme di ridondanza e di riformulazione, col fine di rimandare concetti ed aiutare l’interlocutore a risentire il medesimo contenuto sotto un'altra struttura, che pur non viola le regole sintattiche. Nel caso di un contenuto complesso, ad esempio, si può optare per una presentazione preceduta da una sintetica parentesi introduttiva che include i passaggi salienti del discorso. Fra le ridondanze più utilizzate ritroviamo la semplificazione, che coincide col tentativo di rielaborare in altri termini il concetto spiegato; ed è in genere aperta da frasi tipo: “In parole povere…”, “In estrema sintesi…” ecc. Usata prevalentemente per incontrare le esigenze di chi adotta un vocabolario non molto evoluto o di chi ha necessità di comprendere qualcosa che non fa abitualmente parte della propria area di studio o di interesse.

Tuttavia, esiste anche chi possiede una proprietà di linguaggio elaborata, e che si riserva di attendere dall’interlocutore che gli vengano eventualmente mostrate le credenziali di intellettualità. In questi casi, il passaggio dal complesso al semplice viene invertito, per soddisfare anche le esigenze di chi è abituato a confrontarsi in maniera colta, tenendo presente che sia questa una propensione sana che manifesta soltanto la richiesta di essere arricchito ulteriormente sotto l’aspetto della conoscenza.

In ciascun caso, una qualunque unità narrativa o concettuale corredata da relativi esempi, rende in genere chiaro ed evidente il senso di una frase o di un discorso. Così come un concetto o una teoria universalmente noti possono essere utili in una spiegazione, e allo stesso modo lo può essere una ridondanza visiva, ovvero la trasformazione di un concetto ribadito in chiave grafica (immagine, schema, istogramma ecc.), o ancora gestuale e, per ritornare alla parola, riepilogativa alla conclusione di una illustrazione concettuale.

La scelta è affidata al counselor, alla sua capacità di valutare in quale circostanza sia o meno utile ricorrere a una tecnica in particolare o se utilizzarle in una miscellanea comunque ordinata ed efficace; egli deciderà sulla base anche delle proprie propensioni o in sintonia con quelle del percipiente che dovrà ricevere la natura del messaggio.

In ogni caso, il counselor come professionista della comunicazione, che si pone come promotore di sensibilità ricettiva all’ascolto e alla restituzione, dovrà maneggiare con tatto lo strumento “parola”, consapevole del doppio taglio a cui ogni giorno ci espone questa ancora grande e incantevole magia, capace ogni giorno di incantarci, in forza del mistero di un suono che organizza significati ed eccita la nostra psiche a immaginare, sognare, pensare. Un fenomeno che continua ad affascinare tutti i ricercatori addetti.

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