Il counseling ...dalla A alla Zeta: P, Q


Il counseling ...dalla A alla Zeta: P, Q

Non stiamo componendo un dizionario del counseling, semplicemente proseguiamo con alcuni spunti e incursioni nell’ordine alfabetico, per connotare il counseling e darne una immagine consona alle innumerevoli forme di aiuto che può rappresentare per ciascuno di noi, in attesa di ulteriori graditi contributi dei lettori

Counseling come: P

pensiero creativo, critico: qualità del counselor, affinata da tecniche e strategie che mai tuttavia si sovrapporranno nella relazione d’aiuto alla disponibilità autentica e all’ascolto della persona in aiuto.

Il pensiero creativo è la predisposizione del counselor ad individuare in ogni situazione possibilità di scelta diversificate, anche quando alla persona in aiuto sembra di non averne; è l’abilità di cui il counselor si avvale per cogliere l’aspetto positivo anche in una condizione difficile, in modo che la persona in aiuto, riconoscendolo come punto di forza, riesca ad attivare le proprie risorse e giunga alla soluzione del problema.

E a proposito di creatività:

“Molière, il grande commediografo francese, raccontava di un contadino che gli aveva chiesto che cosa fosse la prosa, e di come il pover’uomo fosse rimasto sbalordito nello scoprire di aver parlato lui stesso in prosa tutta la vita. Con la creatività accade la stessa cosa, visto che la metà del mondo ritiene sia una qualità misteriosa posseduta in esclusiva dall’altra metà. D’altra parte, numerose ricerche indicano che chiunque può entrare in contatto con il proprio spirito creativo. […]Con diventare più creativo non intendiamo semplicemente avere idee migliori. Stiamo parlando di una sorta di consapevolezza generale che porta a trarre un maggiore godimento dal lavoro e dalle persone che popolano la propria vita: uno spirito che può migliorare la collaborazione e la comunicazione con gli altri.”

Tratto da Daniel Goleman, Michael Ray, Paul Kaufman, Lo spirito creativo, Milano,’99, pag. 193

Il pensiero creativo si esprime necessariamente anche come abilità critica, nel significato più autentico del termine e cioè come attività del pensiero nella valutazione motivata e libera da condizionamenti soggettivi della realtà. Il counselor è chiamato infatti a “vedere” con imparzialità e correttezza, con lealtà, nel rispetto del codice deontologico la/le realtà che la persona in aiuto porta e a questa sua equilibrata capacità è connessa ogni sua decisione, ogni atteggiamento, ogni scelta: dalla “presa in carico” o meno, all’approccio da privilegiare, agli esercizi, alla durata del percorso, ecc…

 

percezione: ogni forma di percezione sensoriale come emotiva, della persona che chiede aiuto e del counselor, è terreno di osservazione privilegiato nel counseling, perché possa essere non solo avvertita, bensì consapevolizzata e integrata nella propria vita. Se percezione è l’elaborazione tutta soggettiva della realtà (la propria “mappa”, secondo la Programmazione Neuro Linguistica), nel percorso di counseling tale elaborazione si fa consapevole, permettendo alla persona di riconoscere e differenziare gli stimoli del mondo esterno, dell’ambiente dai mezzi che ciascuno di noi ha a disposizione per assumerli, accettarli o rifiutarli

 

potenziare le capacità: in ogni direzione,  in armonia e soprattutto nell’ambito in cui la persona individua il nodo problematico che l’ha condotta a chiedere aiuto. È obiettivo fondamentale del counselor, per cui la persona è sostenuta a ri-trovare o scoprire le proprie risorse interiori, è la ragione stessa su cui si fonda counseling. Per il counselor, un esercizio quotidiano e continuo per affinare le proprie abilità di osservazione e azione per la propria vita personale e quella professionale

 

problem solving: nel dizionario della lingua italiana non è contemplata, tuttavia è espressione quanto mai diffusa in molti ambiti, anzi proprio tutti quelli in cui con metodo e strategie ci si propone di risolvere i problemi, dopo averli analizzati.

Problem Solving, detto in Italiano è “soluzione dei problemi”e significa passare in rassegna varie ipotesi utili a fronteggiare un problema, con strumenti e strategie adatte al problema stesso.

Perché di un problema possiamo trovare la soluzione più appropriata,  per quanto possa apparire scontato, occorre che riconosciamo il problema stesso e nel counseling, compito primario del counselor è appunto anche quello di aiutare la persona ad individuare il vero nodo problematico, dal momento che può accadere che la persona chieda aiuto per un disagio che avverte confusamente o per un problema “apparente” che nasconde quello reale.  Per prima cosa, il counselor dunque aiuterà la persona a consapevolizzare e identificare la natura del disagio, quindi insieme lo definiranno in modo strutturato e particolareggiato (grazie alle domande che il counselor porrà e alla narrazione che la persona porrà in atto), perché quanto più un problema è definito in maniera chiara tanto più semplice sarà affrontarlo e superarlo.

Solo dopo queste preliminari essenziali operazioni, si procederà a pianificare le soluzioni al problema attraverso specifiche tecniche e strategie, tramite la guida del counselor , appunto il problem solving.

Importantissimo sarà infine mettere in pratica il tipo di soluzione pianificata e valutare i risultati ottenuti e la loro stabilità nel tempo.

 

predisporre strategie per superare il disagio: è quanto si chiede al counselor ed è abilità che il percorso di counseling permetterà di acquisire alla persona che chiede aiuto

 

processo interattivo: autentico e continuo fil rouge che unisce la persona che chiede aiuto al counselor, per tutta la durata della relazione così che entrambi ne traggono linfa per la personale crescita, come per il cambiamento. È la condizione squisitamente paritaria tra counselor e persona che chiede aiuto, dal momento che siamo (come già detto) nell’ambito della salutogenesi e il dialogo nel colloquio è simmetrico (il counselor non è dispensatore di consigli, né maestro di vita). 

Processo consapevolmente interattivo sarà quello che la persona che ha chiesto aiuto imparerà a vivere con l’ambiente, con gli altri già durante il  percorso di counseling in modo da avvertire la responsabilità delle proprie azioni, dei propri atteggiamenti, delle proprie manifestazioni verbali e non verbali e insieme l’interdipendenza con l’esterno: un’abilità essenziale a mantenere il livello della autostima.

 

psicologia umanistico-esistenziale: definita Terza Forza della Psicologia,  è la base teorico-filosofica del counseling, della relazione di aiuto, del colloquio centrato sulla persona, considerata nella sua potenzialità e interezza, tendente al miglioramento, al cambiamento verso il bene-essere, una psicologia diremmo della relazione di aiuto, alla riscoperta della solidarietà umana.

Nata negli anni ’60, negli Stati Uniti la psicologia Umanistica, Esistenziale e Transpersonale si forma come un movimento di pensiero improntato ad andare oltre i precetti deterministici del comportamentismo e della psicoanalisi freudiana. La definizione di "psicologia umanistica" (1962) è di un gruppo di psicologi, guidati da Abraham Maslow, durante l'atto di fondazione dell'Associazione di Psicologia Umanistica, il cui programma prevedeva di "studiare le dinamiche emozionali e le caratteristiche comportamentali di un'esistenza umana piena e vitale".

La psicologia umanistico-esistenziale valorizza in primis l'autorealizzazione, la creatività, le scelte, postulando con chiarezza che in ogni  essere umano, animato dal bisogno di conoscere, di esprimersi, di relazioni gratificanti, è presente la tendenza all’autorealizzazione o auto compimento, alla piena e definitiva attuazione delle potenzialità (si veda Carl Rogers).

Alla psicologia umanistico-esistenziale che affonda le radici nella storia della filosofia antica si riconducono numerose correnti psicoterapeutiche (rogeriana, gestalt, bioenergetica, transazionale), convergenti tutte verso un nuovo concetto di "salute", per cui “sano” è colui che giunge alla propria "autorealizzazione", al pieno sviluppo delle proprie potenzialità, colui che 'diventa ciò che è', non il semplice adattato.

Per ulteriori approfondimenti, si veda Maurizio Secondi, Il Counseling Umanistico Esistenziale: percorso culturale, storico, scientifico, in www.counselingitalia.it

 

Counseling come: Q

 

qualità della relazione: il counseling si occupa prioritariamente che la relazione con la persona che chiede aiuto possa nascere, nutrirsi e lealmente esprimersi. Intendiamo la qualità o le  qualità della relazione? Certamente la qualità che è la risultante di numerosi elementi che vanno consapevolmente e correttamente usati e tutti hanno parte di primaria importanza nella comunicazione. Il counselor, conoscitore degli strumenti comunicativi, osservatore di ogni forma di linguaggio, dal verbale al non verbale, si porrà di fronte alla persona lealmente, con pieno rispetto e attenzione inducendola al riconoscimento e all’integrazione di ciò che facilita la relazione. La buona relazione con il counselor sarà spunto positivo da cui la persona trarrà forza per modificare il proprio punto di osservazione e volgersi, in ogni occasione della vita di relazione, alla comprensione reciproca, a ciò che permette uno scambio reale, pur nelle diversità di opinione e valori, con l’altro in ogni ambito, in definitiva alla “costruzione” di relazioni.

 

qui e ora: in questo luogo e in questo momento. Esattamente di questo si occupa il counseling, di ciò che prova e vive nel qui e ora la persona che chiede aiuto. È una demarcazione fondamentale rispetto ad ogni altro intervento specialistico psicologico o di ricostruzione profonda della personalità, è peculiarità ineludibile del counseling e dunque il counselor, qualunque sia l’approccio scelto, al qui e ora sempre ricondurrà il focus del colloquio, anche quando fosse stato necessario richiamare un evento del passato (che evidentemente ancora per la persona emotivamente non è passato) che chiede di essere elaborato. 

Il counselor, d’altro canto, sarà sempre e costantemente attento al qui e ora, escluderà ogni interferenza che possa interrompere la concentrazione, vanificando il clima di fiducia e affidabilità creato nel setting.

E sempre, al termine di ogni colloquio, il counselor inviterà la persona a centrarsi su di sé per definire nel qui e ora che cosa sta provando, come vive il momento di congedo temporaneo, quante risorse sente di aver allertato…

 

 

Cordialissimamente,

 

Giancarla Mandozzi

 

 

 

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