ACCRESCERE LA RESPONSABILITA’ NEL CLIENTE: internalizzanti ed esternalizzanti e la sfida evolutiva

Inviato da Nuccio Salis

conoscenza di se1. Aiutare un cliente nell’ambito del counseling significa in buona sostanza guidare una persona verso una migliore conoscenza di se, che se in termini esistenziali è traducibile nel guadagno di autostima, valorizzazione del Sé, assertività, consapevolezza, capacità decisionale e autonomia, sotto il profilo concreto dovrebbe declinarsi di conseguenza nella riscontrabile competenza del dare luogo alle proprie scelte, auspici e convinzioni.
È tale passaggio che spesso definisce, soprattutto per alcune scuole di pensiero, la buona riuscita di un intervento di counseling. Il percorso di concretizzazione in merito alle ipotesi percorribili che ciascun cliente si pone, è valutato in modo itinerante dal counselor, nel rispetto dei tempi naturali che occorrono all’individuo preso in carico. Maggiore è la sensazione di essere sostenuto, incoraggiato e compreso, da parte del cliente, e maggiore dovrebbe essere la facilità con cui egli decide di lasciarsi andare a un nuovo comportamento, riconosciuto almeno in via teorica migliore e più funzionale.
L’aspetto centrale che accompagna il cliente nella progressiva destrutturazione di abitudini svantaggiose, ad una nuova situazione potenzialmente più arricchente ed appagante, riguarda la capacità che viene a maturare nel cliente stesso rispetto all’intenzione di acquisire un modello comportamentale e di vita responsabile.

Far fiorire il senso di una dignitosa ed eccitante responsabilità, che fa sentire coraggiosi, capaci di scegliere, di autodeterminarsi, di cogliere orgogliosamente i risultati positivi dei propri sforzi, o di accettarne quelli ad esito meno favorevole, dovrebbe essere questo l’obiettivo da centrare assieme al cliente; poiché è a questa condizione, francamente, che un individuo accoglie il proprio percorso approvandone la dimensione della sfida.
D’altronde, il processo della responsabilizzazione è da sempre il punto più elevato degli obiettivi apicali di un progetto educativo. La responsabilità abilita alla vita consentendo di affrontare la stessa con strumenti di comprensione maggiormente legati all’obiettività, a distorsione limitata, o ancora meglio riuscendo a valutare e monitorare le possibili rappresentazioni della realtà, vagliando quella più utile al proprio adattamento.
Come riuscire, allora, ad aiutare un cliente ad assumere una prospettiva evoluta dal punto di vista della responsabilità? Ovvero, come fare per promuovere nello stesso un atteggiamento in grado di cogliere la necessità di caricarsi di certi impegni, oneri, doveri? Poiché la soluzione dei propri impasse esistenziali passa attraverso la finalizzazione concreta di un proprio progetto di vita. Stimoli esterni, circostanze facilitanti, aiuti, non sono sufficienti da soli a garantire una stabilità nella tenuta di un rinnovato modello esistenziale, nella vita del cliente. Egli dovrà appoggiarsi soltanto temporaneamente, per il relativo tempo che serve, al sostegno offertogli dal counselor, che lo aiuterà a sciogliere i lacci che gli imbrigliano le ali, per poter poi spiccare il volo tutte le volte che vuole. Affinchè un cliente arrivi ad acquisire un tale potere, deve accettare e soprattutto rispettare concretamente e con serietà tale regola del 50 e 50. E per aderire con slancio motivazionale a un tale percorso di senso, egli dovrà, per l’appunto, adottare necessariamente la prospettiva della responsabilità. Essa rappresenta un immancabile modalità per affrancarsi rigorosamente da percorsi rigidi e disfunzionali. La responsabilità ci proietta in uno spazio di crescita totale, che ci riscatta e ci ristora dal momento che ci ricentra in un Io che impara a conoscersi e validarsi soprattutto dentro un orizzonte costruttivo, tangibile e osservabile.
Da dove partire, allora, nell’affrontare proprio il primo ostacolo che quasi sempre si trova, cioè sviluppare una sensibile responsabilità nel cliente?

 

2. Prima di tutto, occorre conoscere il cliente secondo una generale e piuttosto schematica rappresentazione che riguarda la direzione verso cui egli, di solito, invia la responsabilità degli eventi. Cioè, un cliente può, in linea ripeto molto approssimativa (per delinearci un primo quadro senza nessun intento diagnostico o di etichettamento), abitualmente addurre la responsabilità degli eventi prevalentemente a se, oppure agli altri. Ascoltando i suoi racconti, acquisendo informazioni rilevanti dalle sue narrazioni, potremo “farci un’idea” da tenere in serbo come ipotesi, con l’esclusivo intento, ci tengo a sottolineare, di avere un dato sulle caratteristiche personali del cliente da utilizzare come elemento di aiuto nel contesto di vita dello stesso. Ogni elemento emergente in merito al profilo del cliente, infatti, nel counseling viene adoperato all’unico scopo di investirlo nel piano dell’ambiente relazionale del soggetto a cui si sta offrendo sostegno, con la finalità di migliorare la qualità dei suoi rapporti interpersonali e gestirne con maggiore percezione di efficacia i processi comunicativi.
Ora, una volta riaffermato il fine non clinico del counseling, possiamo ricavare dalle informazioni in nostro possesso, un’idea circa la possibile propensione consueta del cliente nell’addurre responsabilità. Egli può avere, sostanzialmente, due direzioni: a) può prevalentemente attribuire la responsabilità degli eventi a se stesso; b) può di massima ascrivere la responsabilità degli eventi agli altri, alle circostanze, a fattori praticamente impersonali.
Come non ricordare la teoria della personalità elaborata dall’immenso Jung, il quale descriveva come prima impalcatura della conoscenza dell’altro, proprio due differenti orientamenti che egli chiamava “introverso” ed “estroverso”.
Chiameremo piuttosto “internalizzante” colui che attribuisce la responsabilità degli eventi largamente a se stesso, ed “esternalizzante” colui che la assegna invece agli altri o ad altri accadimenti più o meno accidentali. Portati entrambi alle estreme conseguenze, tali orientamenti non sembrerebbero costituire un valido strumento di vantaggio per chi li adotta nella quotidianità. I motivi possono sembrare facilmente deducibili: il cliente della categoria internalizzante, all’eccesso, potrebbe riconoscere in se o soltanto meriti, o soltanto colpe; il cliente esclusivamente esternalizzante conferisce invece soltanto a cause al di fuori di lui le ragioni degli eventi, non riconoscendosi quindi o nessun merito o nessuna colpa. Tali rispettive interpretazioni si appalesano in ogni caso come complicate per il professionista consulente dell’aiuto. Nelle relative combinazioni che si sono or ora create, infatti, sono emerse quattro tipologie totali di clienti difficili da indirizzare al percorso di responsabilizzazione. Le elencherò con nomenclature intuitive di mia creazione, ispirate alle teorie transazionali:

a1) Internalizzante (tipo “solo io sono OK”): Ovvero colui che vede esclusivamente meriti personali nei successi raggiunti. Questa persona fatica o non vuole riconoscere ed accertare anche i meriti altrui. Forse una malcelata insicurezza, o il bisogno di approvazione o ancora una possibile esaltazione dell’idea di se, conduce tale categoria ad accentrare su di se ogni lode.
a2) Internalizzante (tipo “solo io NON sono OK”): La seconda tipologia dell’internalizzante è in pratica un generatore ininterrotto di colpe che naturalmente riconosce soltanto in se stesso. Egli non sente di aver mai merito di qualcosa, può rifiutare complimenti ed incoraggiamenti (carezze positive incondizionate).
b1 ) Esternalizzante (tipo “solo gli altri sono OK”): Egli riconosce l’influenza sulle circostanze positive soltanto negli altri; sempre pronto a sminuirsi e disconoscere il proprio contributo. Si tratta naturalmente, come del resto le altre tipologie, di una distorsione percettiva della realtà che non ha a che fare con caratteristiche mature e adattate consapevolmente e congruentemente come per esempio l’umiltà.
b2) Esternalizzante (tipo “solo gli altri NON sono OK”): Particolarmente ostica al trattamento, tale figura si manifesta frequentemente come un accusatore giudicante che colpevolizza e deprezza gli altri, disconoscendo i meriti e mettendo in evidenza soltanto gli errori.

 

3. Da sottolineare come tale ripartizione, assolutamente approssimativa e semplificante, non può assolutizzare ogni propensione individuale relegandola a mera categoria, in quanto ogni individuo avrà una dominante ed una sottodominante, con tutte le combinazioni possibili. Ciò equivale a dire che vi possono essere nel complesso 4 gruppi totali da 3 incroci e con un totale di 12 incastri fra “dominante” (D) e “sottodominante “(sD):
(D) a1; (sD) a2
(D) a1; (sD) b1
(D) a1; (sD) b2

 

(D) a2; (sD) a1
(D) a2; (sD) b1
(D) a2; (sD) b2

 

(D) b1; (sD) a1
(D) b1; (sD) a2
(D) b1; (sD) b2

 

(D) b2; (sD) a1
(D) b2; (sD) a2
(D) b2; (sD) b1

 

Inoltre, una volta rilevate queste combinazioni, chiamerei “omogenee” le classi in cui dominante e sottodominante sono o entrambe esternalizzanti o ambedue internalizzanti, e quindi, rispettivamente:
(D) a1; (sD) a2
(D) a2; (sD) a1
(D) b1; (sD) b2
(D) b2; (sD) b1
Queste classi, al contrario di quanto possa apparire, lungi dal rafforzare la componente o internalizzante o esternalizzante, dal momento che risulta compatta, sono soggette invece ad una ambivalenza che probabilmente in una struttura equilibrata di personalità risulta un’espressione assai rara.
Le restanti 8 risultano “eterogenee” o combinate. La dominante, intuitivamente, potrebbe avere un’ascendenza del 75/80% sull’atteggiamento dell’individuo.
Le altre ambivalenze sono riscontrabili nelle coordinate:
(D)a1; (sD)b1
(D)a2;(sD) b2
(D)b1;(sD) a1
(D)b2; (sD)a2
N.B. Tutto questo riguarda comunque il ristretto focus dell’approccio alla responsabilità.
Si rafforzano invece in modo congruente le seguenti combinazioni:
(D)a1; (sD)b2
(D)a2; (sD)b1
(D)b1;(sD) a2
(D)b2; (sD)a1
Questo raggruppamento, infatti rinchiude combinazioni che rinforzano per complementarietà i loro vicendevoli aspetti.
Ma quali sono i clienti più difficili? Gli ambivalenti o i congruenti? Con tali combinazioni emergono difficoltà varie, tutte certamente ostiche e richiedenti un profuso impegno per l’appunto responsabile da parte dell’operatore addetto all’ascolto, poiché costui è consapevole che un instradamento verso un percorso di responsabilizzazione del prossimo parte innanzitutto offrendo se stesso come esempio e come specchio, al di la della tipologia del cliente in trattamento.
 

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