Errori percettivi dell’Ego. Guardare il mondo attraverso le ferite

Inviato da Nuccio Salis

ego animaEgo e Anima, ovvero due punti di vista sul mondo, due modi di essere e di affrontare l’esistenza con tutte le sue implicazioni e molteplici sfaccettature. Quanto sono simili fra loro? Sembrerebbe proprio che non abbiano nulla a che spartire. Le loro concezioni di vita, i loro sentieri, la loro natura e la loro origine viaggiano su percorsi nettamente distinti ed opposti. Dal momento che li possediamo entrambi, immaginiamo come deve essere agitata la nostra vita intrapsichica, alla ricerca di un costante equilibrio fra queste due forze. Forse è per tutto questo che siamo spesso divisi dentro noi stessi, distonici, ambivalenti, incostanti, pieni di contraddizioni e di dualismi. Se poi questo costituisca o meno un punto di forza o di debolezza è davvero ghiotta argomentazione per i simposi degli intellettuali. Magari questa ambivalenza va saputa gestire e rivalutare alla luce di una nuova folla di idee ed azioni che ci conducono alla crescita. Può ritornare alla mente l’esempio dell’auriga di Platone, dove il postiglione “razionalità” cerca di condurre verso un’unica direzione il cavallo bianco ed il cavallo nero, simboli rispettivamente delle tensioni desiderative ed appetitive dell’anima.

 

Quindi l’anima c’è, ma ha bisogno di controllo, secondo questa allegoria. Con linguaggi differenti, ma uniti nella sostanza, la psicologia ha evidenziato la capacità metacognitiva dell’Io, adducendogli necessarie operazioni di monitoraggio e “supervisione” sulla nostra vita psichica, per aumentare la consapevolezza circa le sue dinamiche e liberare l’atto di volontà, anche in termini di prevenzione e tenuta dell’equilibrio e della salute psico-affettiva. Secondo quest’ottica, l’Ego sarebbe la parte sana della struttura psichica, se inteso nell’accezione di Io “topico” freudiano o Adulto secondo la teoria di Berne. Seguendo le dinamiche dell’Io, in questo senso, siamo in aderenza al principio di realtà, agganciati in un “quì e ora” da cui è possibile ricavare informazioni oggettive da elaborare in modo congruente per i nostri scopi pianificati secondo criteri di effettiva realizzabilità.


Mettendo però in auge i percorsi di costruzione dell’Io, esso ci si profila dinanzi come un contenitore affollato da una ridda di stimoli congiunturali di origine arcaica e primaria, quindi esposto anche con largo margine all’errore, facilmente contaminabile e circuibile da residui emozionali e convinzioni distorte. Come può, dunque, un controllore non del tutto affidabile, vedersi arrogato il compito di osservare dall’alto le nostre dinamiche psichiche, vista la pretestuosa obiettività che lo caratterizza?


L’Ego diviene, è costruito dalla storia (sociale e personale), e pertanto soggetto al mutuo processo del divenire. I presocratici direbbero che si tratta di una creatura dell’essere, e pertanto perituro e mortale, soggiogato cioè alla legge della caducità, esattamente come tutti gli elementi scaturiti dall’unica fonte immutevole ed eterna: l’Ente. In pratica, l’Ego sarebbe contingente, relativo e non necessario, e certamente non l’elemento fondativo della vita. La metafisica non colloca l’Io nell’alto di una gerarchia ordinata secondo livelli di estensione nell’immortalità. Ed anche la psicologia transpersonale ci insegna che per trovare l’autentica essenza, conservarla sacralmente e farci condurre al nostro reale scopo, dobbiamo ritrovare l’anima.


Secondo questo recuperato paradigma, emerge una differenza assoluta e senza soluzione di continuità fra l’Ego e l’Anima: cioè che il primo co-abita nella palude del finito, la seconda è infinita e non conosce il tempo, tranne per quella parentesi cronologica che compie dentro una temporanea casa di ossa e di carni, utile a traghettarsi in un percorso di apprendimento ed evoluzione, solo per il periodo che le è utile.
L’Ego dunque non viene dall’Infinito, e costruisce in vita terrena la sua fissa dimora. Il suo punto di vista sulla realtà, dunque, sarà decisamente condizionato in forza di questa sua precisa natura. Indossare gli occhiali dell’Ego, allora, equivale a guardare e soprattutto sentire i fenomeni dell’esperienza con uno sguardo fisso, che non zooma e nemmeno allarga, ma è delimitato da steccati eretti dalle sue paure ataviche, dagli eventuali rinforzi che queste hanno subito e dal linguaggio convenzionale intriso di cerebralismo e dualità.

Cerco di individuare ed elencare passando in rassegna, le principali caratteristiche che dipingono l’Ego:

_ Divisione/Dualismo: L’Ego è un artificio, una bugia, una maschera che solidarizza con i rimandi di una realtà truccata appositamente per impedirci di avere una visione nuda e profonda delle cose. L’Ego si nutre di dicotomie che diventano la misura del mondo e di tutte le cose. “Se non c’è pena di morte non c’è giustizia”; “Se siamo imparentati con l’uomo di Neanderthal allora non siamo divini”, e via discorrendo attraverso strutture di pensiero rigide e manicheiche, che non conoscono mezze stagioni. E chi vede la realtà solo o bianca o nera, spesso se la costruisce grigia.

_ Dominio: L’Ego ha bisogno soltanto di se stesso, è autoreferenziale, non conosce l’amore o i rapporti solidali. La sua natura è conservativa, ed attua difese per impedirne la demolizione. Per esistere ha bisogno che la realtà si accomodi alle sue esigenze, e gli altri esistono soltanto come particelle per soddisfare le egoiche istanze di se.

_ Possesso: L’Ego è apparenza, non vive di luce propria, deve dunque darsi un abito, un costume, perché se passasse indifferente non esisterebbe. Ha bisogno di involucri visibili che ne denotino la facciata, ne mettano in piena marcatura la sua natura artificiosa. L’Ego ha bisogno di materia, e non irraggiando amore, non può che riversare i suoi residuali stati affettivi nelle cose: oggetti transizionali, status-symbol, definiscono il suo piccolo orizzonte malato di feticismo materialista, secondo cui l’essere è nelle cose.

_ Unilateralità: L’Ego ha soltanto una visione del mondo: la sua. Tutto ciò che non la corrisponde è “non OK”, e non si accettano accordi o mediazioni, a meno che non sia l’Ego la parte schiacciante.

_ Moralismo: L’Ego è infuso di moralismo. La realtà accade o dovrebbe accadere sulla base di solidi principi inconfutabili che non vengono assolutamente considerati nel loro relativismo storico e sociale, ma facenti parte del patrimonio universale e indissolubile a cui tutto il genere umano dovrebbe attenersi. In caso di discrepanza, l’Ego giudica, perché non permette errore, né agli altri e spesso nemmeno a se stesso, perché l’Ego è anche un gran fustigatore, chiede sempre l’espiazione delle proprie colpe.

_ Visione del dolore: L’Ego è sempre ferito. Fra lui e la realtà c’è il filtro del suo dolore. Il mondo gli ha inflitto un abuso, un ingiustizia, una minaccia, e continua a sanguinare. Gli altri sono tutti potenziali persecutori e nemici, pronti ad approfittarsi di punti deboli e vulnerabili. Questo è davvero un aspetto centrale della natura dell’Ego, che lo distingue in modo radicale dall’Anima. L’Ego proietta i suoi fantasmi sepolti sugli altri, e li spinge a comportarsi come tali, poiché l’Ego, secondo questo assurdo meccanismo di tortura, inscena la realtà che meglio conosce, perché ha terribilmente paura di cambiare, allora trova sia meglio che gli altri gli inferiscano violenze lancinanti o mortali piuttosto che pensarsi al di fuori della fortezza dell’Ego, prigione protettiva dentro cui ci si identifica, romanzando la propria esistenza nella più truce drammaturgia. Le ferite diventano gli occhiali, o meglio i paraocchi con cui si guarda il mondo, aggrediti da questi elastici retroattivi del proprio dolore, pronti a confermarne la visione. Una spirale di difficile sbrogliamento.

_ Vendetta: L’Ego ha un impulso alla vendetta. Non conosce mezzi termini: “Chi sbaglia deve sempre pagare e deve essere severamente punito”. L’Ego non concede atti riparatori e non crede al pentimento autentico del prossimo; l’Ego non ha empatia. Stessa durezza usa contro se stesso, “essere sempre capace e sempre impeccabilmente all’altezza” è un ordine. L’Ego emana sentenze ed imperativi, non percepisce un ordine a se al di fuori della sua visione.

_ Lamento vittimistico: L’Ego è ipersensibile alle discrepanze fra ciò che categoricamente e tassativamente deve essere e ciò che non è. La realtà diventa ingiusta e insopportabile. Gli altri ne sono responsabili, e la loro disattenzione fa sentire l’Ego al margine, pertanto si dedica ad implorare cure verso di se.

_ Fame di popolarità e approvazione: L’Ego si ciba di popolarità a qualunque costo. Egli deve emergere, con tutto il suo involucro succedaneo, mascherante la vera essenza. Ego sum, a costo che gli altri mi vedano, si accorgano della mia presenza e si interessino a me, è questo il pensiero dell’Ego. Si apre alla corruzione più impensabile, si svende e si mercifica, pur di conquistare il trono della visibilità. L’Ego non può vivere senza riflettori spenti.

_ Dipendenza: L’Ego non può stare solo con se stesso, potrebbe scoprire il trucco. Il silenzio e la solitudine lo terrorizzano. Qualcuno deve dirgli che fa bene a stare dentro la sovrastruttura di bugie che si è costruito. Vivendo di immagine, apparenza ed inganno, l’Ego non si nutrirà di vera vita, ma di surrogati nocivi che gli danno impulsi mortiferi spacciati per pulsioni di vita. L’Ego abuserà di qualche sostanza per darsi un basamento di vita, una seppur sordida motivazione al fatto di esserci.

_ Erogare sostegno vincolato: L’Ego non conosce la gratuità dell’amore. Se offre non è mai disinteressato. Egli può sostenere “a patto che…”; pone sempre una condizione. I suoi rapporti sono un coacervo di tornaconti ed interessi con elevati costi psicologici. L’Ego, a differenza dell’Anima, entra nei “giochi”: usando il linguaggio transazionale diremo che ricercherà inconsapevolmente relazioni che pongano in una cornice svalutante uno od entrambi gli interlocutori coinvolti, i quali rinforzando le loro convinzioni contenute nell’Ego scriveranno una trama più o meno lunga in cui reciteranno la parte di qualcuno che nella realtà ricaverà da quel rapporto soltanto insoddisfazione ed inconcludenza.

_ Inautenticità: L’Ego usa come carburante speciale l’inautenticità. Si evince ormai da tutto quanto detto sopra. L’Ego è il simulacro apollineo che interfaccia con la realtà, accogliendola in modo deformante.

_ Disgregazione e superficialità: L’Ego non sente di appartenere ad un universo. L’unico universo che conosce è il proprio, ed è l’unico che convalida. Egli non ha proprio una visione ecologica delle cose visibili ed invisibili. Egli si percepisce come un nucleo a se stante, bastevole a se stesso, e non si tratta della beata solitudo del mistico (che è anzi una vittoria contro l’Ego), ma di un sentimento di scollamento e non condivisione con la collettività, simile a ciò che spesso chiamiamo individualismo estremista. L’Ego inoltre vive nella superficie, se vivesse nel profondo o vi gettasse uno sguardo scoprirebbe l’Anima, per l’appunto, e gli toccherebbe fare i conti con il castello di menzogne che si è propinato e bevuto da troppo tempo. L’Ego vive nella cecità interiore, la sua visione è opaca e mistificante, si autogenera e si appiccica addosso false idee e false convinzioni, su se e gli altri.

_ Conformismo e stereotipia: L’Ego segue la folla, e tutti i suoi rituali che gli permettono di affiorare nel visibile. La comunanza che intende con la collettività non è contemplata secondo valori storici o sociali, ma un mezzo per ottenere consenso e riconoscimenti, cibo quotidiano di cui l’Ego è insaziabile.

Riflettendo su tutti questi aspetti dell’Ego, mi era al tempo stesso sempre più chiara l’entità originaria che preesiste all’Ego: l’Anima. Essa, infatti, di contro, può essere riconosciuta attraverso le seguenti qualità e caratteristiche:

_ Principio di gratuità: L’Anima irraggia amore di per se, non deve nemmeno sforzarsi di farlo. Essa è consustanziale dell’Amore Universale, ne riflette la qualità ad immagine e somiglianza. L’Anima concede, da, regala, offre, dona, senza chiedere, e se chiede, si rivolge alla Fonte che l’ha originata.

_ Gioia assoluta: L’Anima di cosa è fatta? Di cosa è vestita? È un irraggiamento (che a sua volta irraggia) della Fonte Eterna di Vita; quindi la sua “materia” è la Gioia Assoluta. Scoprire l’Anima equivale ad abbracciare la Gioia assoluta, quell’anelito di vita che è abbraccio all’Universo.

_ Compassione: L’Anima accoglie altro amore e con esso si rispecchia. Comprende gli stati affezionali altrui.

_ Trascendenza: L’Anima sa cogliere la sua essenza e la sa riconoscere nell’altro. Sa che il suo luogo di provenienza e ritorno non è di questo mondo. L’Anima ha la percezione della sua micro-divinità, e si impegna per prendersene cura, perché non c’è tesoro più grande, perché essa è testimone del Regno di Dio.

Ora, una vita come la nostra, in un mondo così, avulso da atrocità e immane dolore, materialismo e cecità spirituale, costruito dall’Ego per se stesso, vivere secondo Anima non è semplice. L’Ego è cresciuto ed ha messo radici, e osserva il mondo dallo specchio deformante dei suoi patemi interiori, annullarne paure e storture percettive non è affatto facile.
Tuttavia è quello che si richiede per proiettare l’essere umano verso un progetto di fratellanza universale a cui rischiamo di mancare e di non essere pronti. Possiamo dirci milioni di parole e usare altrettanti paradigmi clinici e scientifici incastonati in quella Torre di Babele di prossima implosione, ma una sola è la via maestra al cambiamento nella Gioia Assoluta: riprendere il dialogo con l’Anima, e presto. 

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