Descrivere, rappresentare, regolare: steps di comunicazione efficace

Inviato da Nuccio Salis

comunicazione efficaceComunicare efficacemente, l’imperativo di ogni professionista dell’aiuto, la meta che include il percorso da intraprendere in vista del raggiungimento di tale immancabile competenza. Questa è l’era della comunicazione, ci spiegano, e se è così per circa 700 milioni di persone su 7 miliardi allora questo dato non rientra in maniera pertinente nel modello della comunicazione efficace, dal momento che la chiarezza e la correttezza dei dati è un punto imprescindibile di tale processo. La fonte che invia questo dato, dunque, è inattendibile, faziosa e volutamente bugiarda. Il fatto che nelle case delle famiglie di quella minoranza insignificante del mondo che sta depredando tutto il resto, arrivino il computer, l’I-Pod, il decoder e lo spazzolino che con una setola ti accarezza le gengive e con l’altra ti fa la pedicure, io non la chiamo comunicazione. E non chiamo società della comunicazione un’organizzazione sociale che lascia morire di inedia i propri giovani e inchioda nell’angolo della solitudine i suoi membri più anziani. E nemmeno, attenendomi al linguaggio di quel gran maestro di pedagogia sociale vissuta che era Danilo Dolci, la chiamerei “comunicazione di massa”; poiché di fatto, la massa, non comunica, con chi comunicherebbe? La massa è autoreferenziale, non si confronta perché gli individui sono diventati una cosa sola: una pappa indifferenziata con un modello unico di pensiero, giudizio, obiettivi e stili di vita. No davvero, questo minestrone primordiale pieno di zucchine e zucconi non può essere rappresentativo del principio del comunicare, sarebbe umiliante e soprattutto smaliziatamente fuorviante per il genere umano ed il suo bisogno di verità.

 

Ma allora cosa significa comunicare efficacemente, o saper comunicare? Seguendo le riflessioni di cui sopra potrebbe semplicemente equivalere col dire che comunicare secondo uno stile efficace significa essere sinceri. La trasparenza, la chiarezza, la verità, la verificabilità di ciò che dico e la manifesta buona e genuina intenzione con cui emetto il mio messaggio, sono elementi validi del mio comunicare efficacemente. Ma, una certa cultura mistificatrice sembra aver in modo furbesco e silenzioso giocato con le parole, arrivando a mettere sullo stesso piano il termine di efficacia con quello di efficienza. Siamo fritti! Eravamo partiti bene, poi il caimanesimo, la religione attualmente più praticata del marketing ci ha messo i suoi viscidi tentacoli. Comunicare efficacemente diventa dunque, estrapolandone le finalità autentiche ed originarie delle dinamiche comunicative, il controllo e l’organizzazione del processo comunicativo a scopo persuasivo, promozionale, propagandistico, dell’imbellettamento delle apparenze, per dare maschere sorridenti, accattivanti e disarmanti a mostri mossi da subdole ed inquietanti intenzioni. Nella migliore delle ipotesi tale efficienza viene legata al successo nel lavoro, nella carriera, ottenere promozioni, privilegi, vantaggi; quando anticamente bastava una bella leccata di c…! Ma anche quella gente lì si è messa a studiare, adesso, e le loro strategie si sono raffinate e sofisticate nel tempo, di questo dovrebbero preoccuparsi gli psicologi, unire le forze per stoppare questa deriva populistica, ascientifica e snaturante del sapere umanistico. Certo, ora è difficile trovare qualcuno disposto a farsi spremute di cicuta, soprattutto se non da effetti allucinogeni. Ora non si va più nelle piazze a parlare di anima, anzi se credi di averne una magari diventi inviso alle regole non scritte dell’albo. Però ci siamo evoluti, ci dicono sempre coloro che ci hanno parlato dell’era della comunicazione.

Sembro un sovversivo? Qualunque persona con un po’ di senso critico lo è.

Vediamo dunque, al di la di disquisizioni aggiuntive e soprattutto ben oltre l’uso “pattumieristico” del sapere, quali sono gli elementi ed i processi di un modulo dinamico caratterizzato da steps di comunicazione efficace.

Possiamo con un buon margine di certezza affermare di essere efficaci quando siamo descrittivi. Riportare dati tangibili, che si possono osservare, controllare, verificare e misurare, è un modo per sollecitare condivisione e confluenza di interessi, di sguardi e di prospettive. In questo modo non impattiamo sull’altro,e nemmeno lo subiamo, per esempio se ci proietta addosso eventuali distorte percezioni, ed aderiamo al piano di realtà, invitando l’altro a fare altrettanto, ad essere cioè rispondente in modo congruente, funzionante nel qui ed ora. Esempio: “vedo che hai un cappello verde e che di tanto in tanto lo togli per grattarti il capo”. Se ciò si verifica, sono descrittivo, esamino e fotografo la realtà, e lo sono ancora di più se descrivo la sfumatura corretta del colore, o i giusti tempi di intervallo fra copertura del capo e levata del cappello per la grattata del capo. Il livello di tale processo è informazionale, cioè caratterizza un passaggio di informazioni fra un soggetto emittente ed uno che riceve. Questo primo blocco del processo comunicativo efficace, detto anche dichiarativo o constatativo, ci mette in comunicazione con gli altri dentro un contenitore che si approssima a una completa neutralità, dal punto di vista dell’intrusività o coinvolgimento affettivo. In pratica, se sono descrittivo fungo anche da modello coerente con l’osservabile, favorisco una reciproca visione lucida delle cose, prevengo inferenze di giudizio preconcetto, di teorie implicite ingenue sulle intenzioni o l’interiorità dell’altro da me. C’è da aggiungere che, seguendo il secondo assioma della comunicazione impariamo che quando inviamo un messaggio, questo consta di una parte strutturante che possiamo chiamare contenuto, ed una parte che lo carica di significati percettivi ed emozionali, grazie alla quale non ci limitiamo, pur dentro un contesto di reciprocità a confronto descrittivo, a scambiarci solo dati come fossimo due memorie artificiali collegate fra di loro. La comunicazione descrittiva, dunque, completa la sua efficacia dal momento in cui si sgancia da una deriva asettica, computazionale, e confluisce verso un modello integrato di cui sarà naturalmente uno degli immancabili elementi portatori.

Il secondo step fa infatti riferimento ad una capacità di elaborazione, contatto, riconoscimento personale delle proprie sensazioni e naturalmente invio funzionale delle stesse in termini trasmissivi. Questo successivo livello ci permette di aprire la finestra del contatto emozionale nella relazione interpersonale, perché manifesto e metto a nudo le mie emozioni, facendolo senza nascondermi, senza tergiversare, ma aprendomi con trasparenza e veracità. Posso essere schietto, diretto, ma non per questo devo essere intrusivo, o usare il mio mondo emozionale per dirigere, ferire, incolpare, ricattare, accusare o manipolare. Possiamo dare piena realizzazione a questo principio se seguiamo la struttura rappresentativa del messaggio Io. Ovvero, ci assumiamo la responsabilità delle nostre percezioni affettive, e le rimandiamo, formulandole in prima persona, offrendo un validissimo modello di consegna di informazioni che ripeschiamo dal di dentro, perché dicendo “Io sento…”, “Io provo…”, non diffondo a terzi il sentimento, come fa chi parla in modo generico, lagnoso, oppure secondo la formula raggirante del “a un amico mio succede che…”. Col messaggio Io invitiamo alla schiettezza, a una padronanza dei vissuti, ad un alfabetizzazione emozionale che richiama alla consapevolezza interiore e alla maturità di governare processi di invio delle proprie istanze, bisogni, vissuti e necessità. E la fase precedente non viene perduta, perché se il messaggio Io si congiunge a un indice referenziale, l’emozione può ora essere contenuta e collocata dentro una struttura precisa dello spazio-tempo; non è più una solitaria e pericolosa mina vagante, dal carattere ingestibile. Questo piccolo ma significativo accorgimento eviterebbe molte delle incomprensioni e dei contrasti fra le parti che si confrontano. Un conto è dire “sei sempre irritante”, altro è affermare “quando fai questa azione precisa X in quel preciso momento Y io provo l’emozione Z (irritazione)”. il giudizio atemporale, centrato sulla persona viene sostituito da una sottolineatura discutibile e legittima al tempo stesso. Non c’è certezza del non beccarsi un vaffanbagno, ma l’impatto emozionale sull’altro si riduce, si attenua rendendo possibile un ammorbidimento di posizioni rigide. È questo tipo di step che ci permette di entrare con gli altri in risonanza emozionale ed usare l’empatia.

Il processo comunicativo è legato inoltre a un flusso dinamico che lo pone sulla linea mutuante del divenire. Una volta che si da l’innesco alla sua direzione, non possiamo dare per scontato che seguirà il verso su cui è stato immesso. Dovremmo dunque prendercene cura. Avremo cioè necessità di controllare la comunicazione affinchè rimanga ad un accettabile livello di chiarezza. Questa è la dimensione regolativa del processo comunicativo, con la quale si sostiene la relazione assicurando di non andare “off line”, e pensare al tempo stesso di essere connessi. Si possono dunque inviare richieste assertive, o introdurre feedback di chiarimento e verifica, del tipo “È così anche per te?”, “Come va?”, “Come stiamo proseguendo?”

Il training, l’esperienza e l’abitudine costituiranno via via un uso naturale alla tendenza riguardo al pensare e, di conseguenza, agire in modo efficace, offrendo un valido modello di supporto e interdipendenza costruttiva. 

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