Anoressia e desiderio

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donna anoressicaRiconoscere fenotipicamente la persona anoressica è facile: la manifestazione estetica è evidente. Scrutarne il volto è, al contrario, difficile e per la maggior parte delle persone fastidioso. Chi vive imprigionato nel delirio anoressico, in un’ebbrezza di onnipotenza, non sempre è consapevole di tale ambivalenza. Il rappresentare la propria identità interiore con la maschera dell’esteriorità sortisce, a lungo andare, un suicidio masochistico. Una rincorsa alla “trasparenza”, non dei sentimenti, delle emozioni, del bisogno d’amore, ma del corpo che li racchiude. Una condizione che, generando negli altri una sorta di avversione, li allontana. Mi pare ridicola la teoria di far discendere il tutto da una semplice imitazione di modelli estetici, trasmessi dai media. E’ una spiegazione “anoressica” del problema. Le stesse terapie, come quelle cognitivo-comportamentali, hanno un’impronta anoressica, limitandosi ad esercizi semi-pavloviani. Anoressia interpretativa, anoressia riparativa.

 

La naturale spinta al desiderio, viene volontariamente soffocata, anche se trattasi di un tentativo di annientamento illusorio. Anoressia etimologicamente significa infatti mancanza d’appetito, niente da appetire. In tale direzione la malattia, ammesso che chiamarla malattia abbia un senso, rappresenta la metafora di un contesto che si può definire, appunto, anoressico. Contesto che si riassume nella scellerata ricerca di un qualcosa che riesca a domare il desiderio, come se il desiderare implicasse, forzatatamente, la necessità assoluta del suo esaudimento. E’ un cadere nell’inganno, perché è proprio il desiderio la propulsione del tentativo del suo annullamento. E’ un gioco paradossale che si autoalimenta nel tempo e che non può concludersi nell’estinzione perché porrebbe fine al suo persistere.

Da qui la corsa al ribasso, ad un dimagrimento sempre più portato vicino alla soglia vitale. Una corsa che mantiene vivo il desiderio, la cui assenza corrisponde infatti alla morte dell’anima. Pure il tossicodipendente non sfugge a questa logica ambigua: pur rincorrendo la narcosi esistenziale è necessario mantenerne il desiderio per poterla perpetrare. Patologia e normalità si intercettano così sulla medesima traiettoria. La società attuale non pone il desiderio anticipatamente alla soddisfazione ma suggerisce il percorso contrario: i feticci generano il desiderio. E’ naturale che nasca l’impulso al materialismo. Sono quei desideri che Epicuro definiva artificiali.

Al pathos, alla tensione verso una domanda spirituale, si sostituisce l’ansia del possedimento oggettuale. Le patologie dell’era cosiddetta moderna, altro non sono che patologie del desiderio. In un mondo dove vige la cultura del superfluo, la mancanza si colma con un totem, non con lo spirito, l’unico che può generare una risposta che vada oltre la materia. La patologia nasce dal rifiuto della sofferenza, del dolore. Nel modo in cui, infastiditi, distogliamo lo sguardo dallo scheletro anoressico, ugualmente evitiamo lo sguardo sulla sofferenza, sul patimento, sulle tribolazioni dell’anima.

Il corpo anoressico è un corpo che rivela una mancanza, simbolicamente figurata nella riduzione scheletrica. Riuscire ad oltrepassare il muro della materialità visibile, implica prendere atto del fallimentare tentativo di annullamento del desiderio e mettere in evidenza tale mancanza. “Finché ho un desiderio, ho una ragione per vivere. La soddisfazione è la morte” aforisma di George Bernard Shaw, suggerisce una via interpretativa alla domanda relativa ai contenuti del desiderio degli adolescenti di oggi. Freud affermava che uno dei desideri preminenti del bambino è quello di divenire adulto: altrettanto non si può dire dell’adolescenza dell’inizio del terzo millennio.

La complessità sociale richiede una padronanza nel procrastinare la soddisfazione, un’elevata tolleranza alle frustrazioni, un’accettazione della tensione dell’attesa. Gli adolescenti, attraversando un mondo spiritualmente anoressico, risultano fortemente disarmati, suscettibili alla seduzione ed alla trappola del materialismo. Nello stesso modo con cui la persona anoressica insegue il dimagrimento, l’adolescente è irretito dall’oggetto materiale fornendo, nel medesimo tempo, alloggiamento allo smagrimento spirituale. La bulimia del materiale non esaudisce completamente il desiderio: rimane sempre una rimanenza, un resto. Anche il bambino nel suo sviluppo deve abbandonare ciò che Winnicot definiva oggetto transizionale. La rimanenza dovrebbe potersi instradare sull’immateriale e sul trascendente.

Per Karl Jaspers “La trascendenza è se stessa senza bisogno d'altro” . L’adolescente deve abbracciare questo progetto asintotico perché è lì che scopre sé stesso ed una realtà oggettiva. I ”no” rappresentano lo strumento a disposizione di un genitore accuditivo ed educante, per condurre il bambino, futuro adulto, su tale strada. Le basi della vita adulta nascono, come Freud ha insegnato, nell’infanzia. Come non si deve lasciare spazio al delirio di un paziente psichiatrico, allo stesso modo non va dato credito ad una siffatta società, incapace di esprimere valori ed inadeguata all’educazione delle giovani leve. E’ necessario insistere su questo terreno, accettando il rischio di essere le Cassandre del terzo millennio.

Chi volge continuamente lo sguardo altrove, infastidito, contribuisce a rendere anoressica la nostra comunità, a smagrirne la vitalità e creatività. Non ci troviamo in una recessione economica ma in una involuzione valoriale e culturale, nella quale prospera la bulimia del possesso, che paradossalmente determina l’anestesia affettiva e della coscienza. La sociologa Luisa Stagi dell’Università di Genova ha scritto qualche anno addietro un libro dal titolo “La società bulimica” nel quale sono messe in evidenza le contraddizioni del contesto socio-culturale. La società diventa bulimica, secondo il mio parere, quando si instaura l’anoressia dei valori. Come in clinica la bulimia costituisce molto spesso il decorso di un’anoressia, così avviene per il mondo sociale. Non esistono farmaci o terapie strumentali.

Esistono le persone con le loro risorse che, se pur incarcerate da qualche parte, vanno riportate alla luce. Come la luce di una candela fa intravedere un volto nel buio, così le risorse fanno intravedere la strada. Lunga, difficile ed incerta, ma è l’unica possibilità che abbiamo per rendere la nostra società, il nostro vivere quotidiano, a misura d’uomo. Va ovviamente accettata la fatica di questo percorso. Non si costruisce nulla senza far fatica. La vita non può essere demandata ad una lotteria, ne si costruisce con l’amputazione dello spirito.

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