L'Io e l'ambiente: la necessità di un approccio ecologico

Inviato da Nuccio Salis

gente ambienteUna delle conquiste più radicali che riguardano il processo della relazione di aiuto consiste nella scoperta del rapporto interdinamico fra individuo ed ambiente. Tale scoperta si rivela dal momento in cui i ricercatori hanno diramato dal loro sguardo certe fosche presunzioni di verità assodate ed incontrovertibili. Teorie innatiste e altri paradigmi che pretendevano di spiegare ogni fenomeno umano in modo chiaro ed inconfutabile, hanno dovuto constatare la fallace caducità dei loro modelli universali.

Comprendere l’influenza esercitata dall’ambiente sociale ha costituito un notevole passo avanti nel tentativo di adottare chiavi di lettura maggiormente dinamiche e complessive. Tutto ciò ha reso certamente le cose ancora più complicate di come lo erano, tuttavia ci ha sottratti al giogo di certi insolenti dogmi che potevano soltanto dare l’illusione di aver compreso, di aver correttamente analizzato. Una volta messa in discussione l’impeccabilità degli strumenti e degli schemi interpretativi di ricerca, gli studi hanno richiesto un approccio maggiormente attento alle dinamiche del divenire, della mutevolezza, e di tutti quegli aspetti dapprima sottaciuti ed ignorati in quanto non rientranti nel recinto della visuale “scientifica” dell’oggetto di studio.

Perfino la dottrina freudiana ortodossa è stata nel corso del tempo rivoluzionata, o meglio si è trovata nella condizione di dover adottare nuovi attrezzi di intervento e di ricerca, recuperando così la sua forza dialettica e compenetrativa che un certo determinismo le aveva sottratto. Il fatto di pensare all’uomo come un essere esclusivamente ligio alla legge interna delle pulsioni, significa attraversare un rischio che conduce ad un punto di non ritorno: ovvero privare il soggetto umano di capacità latenti, trascendenti, di riscoperta ed espressione della sua profonda ed autentica natura individuale. Significa associarlo alle forme di vita elementari o agli organismi meno complessi, come ha fatto Darwin in maniera grottesca, parziale ed incompleta. Ed una volta che si accredita valore di verità ad una visione monoculare, confusa e sostanzialmente accomodante rispetto alle proprie categorie concettuali, il danno è pressoché irreparabile. Per fortuna, aver rivalutato lo spessore formativo dell’ambiente sociale in merito all’individuo ha avuto un effetto dirompente sulle rotte della conoscenza. È anche vero che tale concetto è dovuto maturare ulteriormente nel tempo, in quanto all’inizio la sua influenza non fu considerata in modo complessivo, quanto piuttosto circoscritta ad esempio alle sole fonti di condizionamento primario, ovvero le figure significative e rilevanti dal punto di vista affettivo. Soggetto a tali stimoli dalla natura complessa, inoltre, l’individuo è considerato un mero elemento passivo, che assorbe acriticamente, forgiato dall’esterno senza soluzione di continuità. Il rapporto con l’ambiente è evidenziato, tuttavia manca l’elemento del feedback, della restituzione dell’individuo alla struttura delle variabili esogeni. Manca dunque un vero e proprio dialogo connotato dalla vicendevole influenza delle parti. Quindi, non è sufficiente accorgerci che l’individuo reagisce agli stimoli esterni, dobbiamo considerarlo un entità reattiva in modo costruttivo, sperimentale, creativo e resiliente nel senso proattivo del termine. È questo l’approccio che farà la differenza qualitativa in merito all’efficacia nell’intervento di una relazione strutturata orientata all’aiuto. Diversamente non potremmo considerarci guide efficaci ma ammaestratori, non educatori ma addestratori.

La nozione di ambiente è dunque di estrema e delicata importanza; lungi dall’essere un vezzo dell’indagine scientifico-umanistica, si rivela invece come la chiave di comprensione per le dinamiche umane, a patto che la sua accezione sia estesa e polivalente. Considerare l’ambiente, dunque, non limitatamente a quella porzione di spazio fisico, naturale o artificiale, ma come il “campo” che mette in gioco tutti i fattori-forza che costituiscono gli elementi coi quali noi ci confrontiamo, come agenti attivi che a loro volta costituiscono variabili influenti, all’interno di un sistema dentro cui interdipendiamo nel rapporto con ciascun fattore.

L’ambiente è dunque un complesso attore sociale di attori sociali. Soltanto un approccio precisamente ecologico può rendere il giusto conto a questa importante dimensione formativa fondata nel rapporto uomo/ambiente.

Come possiamo utilizzare questo paradigma riportandolo dentro la relazione di aiuto?

La parola ecologia richiama facilmente a connotazioni semantiche che declinano la relazione uomo/ambiente improntata sull’armonia e l’equilibrio. È un buon punto di partenza, forse lo è anche di arrivo, ma è interessante osservarne il processo. L’accoppiamento strutturale, così denominato secondo una felice espressione di Maturana e Valera, definisce una relazione che ci fa assumere la responsabilità di assumerci la consapevolezza di far evolvere tale rapporto senza comprometterlo o snaturarlo. I cambiamenti saranno inevitabili per ambo le parti, poiché ciascuno espande e contrae richieste, bisogni e risposte adattive, generando trasformazioni. Il punto è stabilire la qualità di tali trasformazioni, dal momento in cui lo stesso concetto di trasformazione esclude la conservazione. Immettiamo inevitabilmente processi di mutamento all’ambiente, e la maturità con cui gestire questo aspetto si misura nel come riusciamo a ricercare e trovare un equilibrio fra le eventuali discrepanze fra sistema di bisogni umani ed ambiente, per evitare la distruzione dell’uno o dell’altro interlocutore.

Tali domande, applicando nella relazione di aiuto l’approccio ecologico, fungono da stimolo per sollecitare nell’appellante una “mente ecologica”, secondo la fortunata espressione di Bateson. Questo aspetto non è di poco conto, dal momento in cui, la maggior parte del genere umano occidentale, intrappolato nella visione dualistica, ha dissolto e lacerato il concetto di relazione armonica, responsiva e soprattutto responsabile, con l’ambiente. Una domanda comune, infatti, di un richiedente aiuto, può essere: “Se qualcosa non va per il verso giusto, posso cambiare io o devo cambiare l’ambiente?” Questo diffuso dilemma palesa la visione dualistica e scissa, ma direi addirittura assente, del rapporto di reciproca contaminazione uomo/ambiente. La difficoltà di promuovere una efficace azione di aiuto, può consistere in tal caso nella ostica rigidità da parte dell’altro nel pensarsi soggetto “in situazione”, come anello dinamico che può mobilitarsi sia recependo che inviando stimoli nell’ambiente, secondo un processo a flusso circolare di input. Il dualismo concettuale, perennemente rinforzato dagli stili di vita di un consumismo acritico, avido e folle, insensibile e distruttore, non fa che intravvedere soltanto due opzioni: la tendenza autoplastica e quella alloplastica ; ovvero, rispettivamente, la propensione a cambiare se stessi e quella diretta invece al cambiamento dell’ambiente e delle sue contingenze fattoriali. Il tutto, naturalmente, privo di una visione sistemica, integrata ed unitaria.

Questa argomentazione assume contorni e rilevanze di sapore anche pedagogico collettivo. Appare urgente, dunque, fondare un modello di uomo che assuma piena conoscenza del suo essere elemento dinamico e tassello della complessità ambientale. Questa nuova figura non dovrà risolvere le discrepanze del rapporto uomo/ambiente rispondendo soltanto con una esternalizzazione aggressiva, dominante e violenta quale è quella attuale, nei confronti dell’ambiente. Non dovrà, quindi, per dirla coi termini del ben noto psicanalista Heinz Kohut, essere un “uomo colpevole”, che sfrutta l’ambiente soltanto per soddisfare le sue egocentriche mete ed il suo edonismo fuori controllo; dovrà invece generarsi come “uomo tragico”, che fa del suo Sé autentico una meta da realizzare, un centro autonomo di iniziativa e di esplorazione.

Secondo questo approccio, allora, potremmo significare noi stessi e la nostra storia, acquisendo consapevolezza e soprattutto raggiungendo la vera dimensione della libertà, che include quel nucleo di piena autenticità personale che si è compiuta tale proprio perché ha acquistato il senso della totalità armonica con l’ambiente.

Sarebbe un traguardo fondamentale a vantaggio della imminente rinascita dell’”uomo nuovo”.

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