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10' per dirlo e poi?...

Inviato da Giancarla Mandozzi

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10' per dirlo e poi?...

 

Una giovane mamma sta camminando per il Corso principale della città, in zona pedonale, insieme ad un'amica e tiene per mano il figlioletto di tre anni o poco più che chiede insistentemente di camminare da solo:

"Se non vuoi darmi la mano, va bene, ma:

mettiti il giubbino,

non correre,

non entrare nei negozi,

non dare fastidio agli operai che stanno scaricando quel furgoncino,

vai !"

            Se avessi voluto inventare una situazione più esplicita tra una mamma apprensiva e un bimbo di tre anni, non sarei riuscita mai, ne sono sicura, ad immaginarla così...perfetta: una raffica di comandi, il primo e l'ultimo su da farsi contengono ben tre divieti, cosa NON fare, tutti impartiti con voce ferma e abbastanza alta (altrimenti , è ovvio, passando a qualche metro di distanza non avrei potuto ascoltare), una voce che non ammette repliche. Un tono di voce, una paraverbale e un non verbale all'unisono concordi ed efficaci, tanto che il bimbo ha annuito velocemente con un cenno del capo, ha collaborato ad indossare il giubbino di jeans e impettito ha intrapreso la sua personale scoperta tra le vetrine e i passanti, senza correre (almeno per trenta secondi, posso garantirlo, poi...chissà?).

            Domande e considerazioni sul comportamento di noi adulti proprio quando più siamo impegnati nella nostra mission  educativa hanno immediatamente ingombrato ogni mia riflessione, a partire dal chiedermi: ma perché per andare da solo occorreva mettere il giubbino? il giubbino/protezione-prolungamento-della-mano-della-mamma?...

Tra ingiunzioni e controingiunzioni, questo è il clima che  noi adulti siamo in grado di creare, proprio quando vogliamo sentirci più attenti nei confronti dei giovani, un'attenzione che diventa protezione, balsamo per noi,  piuttosto che sostegno dell'altro.

            Raccolgo qualche altro esempio tra tanti che, ne sono certa, sono ben noti o forse appartengono a molti di noi:

il papà al figlio di sei anni, di fronte alla bicicletta:

"allora, ricorda: che cosa ti ho detto, a proposito dell'andare in bici da solo?"

il figlio, serio serio: "che è pericoloso!"

"Bene! allora per nessun motivo ti puoi allontanare da me o dalla mamma"

la mamma, con sguardo amorevole, al  figlio tredicenne impegnato ad aggiustare una stringa del suo zaino:

"sei sicuro di farcela? perché non lasci che faccia io?"

durante una scarpinata in collina, la mamma di fronte ad un rigagnolo d'acqua, alla figlia di dieci anni:

"ferma! non muoverti! non puoi farcela da sola, ti aiuto io!"

il papà alla figlia diciottenne che chiede di impegnarsi concretamente in un Progetto di volontariato:

"siamo sicuri che vuoi cominciare ora? perché se non sei pronta, puoi aspettare..."

            Nello spazio di qualche secondo, persino con amichevole voce conciliante e magari con tono interrogativo, siamo in grado noi adulti di minare alle basi le prime certezze, il nucleo dell'autostima nei giovani, fin da piccini e perché non sembri che la responsabilità appartenga solo a chi è genitore, basterà prendere in considerazione altri ambiti, come la scuola, appunto "agenzia educativa", o l'Università, o gli ambienti di lavoro. 

            Qualche tempo fa si faceva un gran parlare dell'immaginario collettivo: ebbene, oggi, nell'immaginario collettivo degli adulti i giovani, come i ragazzi, persino i bambini vengono catalogati come inaffidabili, svogliati e al tempo stesso iperattivi, inconcludenti...Lo sappiamo, come sappiamo d'altra parte che i media osannano l'età giovanile, parlano dei giovani come centro della società, motori del futuro, ottenendo negli adulti e addirittura negli anziani atteggiamenti e comportamenti di un giovanilismo che talvolta rasenta il ridicolo.

Che i giovani non siamo docili ai nostri insegnamenti, siano soggetti difficili da avvicinare, non muta le nostre responsabilità di adulti.

            Nulla che riguardi l'essere umano è semplice e nessun problema può essere risolto con la bacchetta magica, tuttavia è sempre possibile analizzare con lealtà ed avviare una prima correzione, un primo segnale vero di cambiamento: vogliamo cominciare dal riconoscere che noi adulti siamo attanagliati da generiche confuse e numerosissime paure per il futuro nostro, dei nostri figli, dei giovani, che ci siano familiari o meno? sono paure legittime e comprensibili ma non le fughiamo imbrigliando il giovane in uno schema che ostinatamente ripropone il nostro modello di vita...

            Cominciamo a comprendere le nostre fragilità per accettarle e finalmente essere in grado di educare (ex-duco-ad) le giovani generazioni o continuiamo a farlo, se abbiamo iniziato: questa è la mission più grande a cui siamo chiamati, tutti, ogni giorno, che sia festivo, vacanziero, di lavoro, assolato o piovoso.

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

 

 

 

 

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