Quanto pesa il giudizio


giudizio di_parigiIl giudizio è qualcosa che non si riesce a sfuggire, neppure con mosse da abili strateghi. Dichiariamo di non condividere chi ne dispensa a piene mani, ma lo temiamo come il babau, non dimentichiamo di affermare di esserne immuni, ma appena ci è possibile sputiamo sentenze. Giudizio oppure opinione questo è il problema. Sono la stessa cosa? No, però spesso lo diventano, si saldano, si fondono come metalli in una fornace e si fanno lega, tanto forte e resistente da sorreggere edifici interi.

 

Parole che riempiono la bocca e le orecchie, che formano macigni. Etichette, verdetti, responsi senza appello, pietre miliari che riescono a diventare zavorre, tanto pesanti da trascinarci in fondo a pozzi neri, nei quali alla fine non ci si ricorda più di essere entrati. Quel che è peggio è che non si vuole più uscirne, tanto rassicuranti, conosciuti, abitudinari, confortanti divengono le mura strette intorno, l’umidità vischiosa ed avvolgente, l’odore penetrante delle rocce impregnate dal tempo.

 

 

Piccoli mondi sempre uguali, nei quali i copioni proposti sono cicli dell’eterno ritorno, corsi e ricorsi della storia personale. Mutano le persone, i luoghi, le date, ma non gli eventi, che ci trovano a contatto con chi, come noi, si dibatte in altre cavità. Storie d’amore e d’amicizia, rapporti con genitori e figli, colpi di fioretto e di sciabola, pugnalate e parate, feste e cerimonie, parole di letizia e di mestizia, urla di tormento e di rassegnazione.

 

Silenzi.

Quando ogni cosa tace, ciò che si fa strada è il rumore della paura, per questo continuiamo a muoverci in tondo, sul fondo di quel pozzo che preferiamo descrivere come un universo, perché la paura è potente, fa domande pericolose alle quali, se non stiamo attenti, se non provvediamo a rimpinzare i minuti che si rincorrono, rischiamo di dover rispondere, ed è così che ogni tanto qualcuno siede di fronte a noi.

 

Ci scruta, ci chiede aiuto, pretende oppure spera. In quello spazio che chiamiamo setting prendono corpo, voce, vita ognuna di quelle sfumature potenti e pesanti che del giudizio di sé e degli altri hanno fatto e fanno parte. Rimbalzano come palline dentro ad un flipper e si trasformano negli elementi delle identificazioni proiettive, dei transfert, delle introiezioni e di tutto quell’altro cosmo di termini che ci dicono come mai proprio noi siamo lì con quel preciso cliente, in quel preciso momento a maneggiare quella precisa mescola.

 

Faticoso, importante, traditore, ingombrante è il giudizio, fa lo sgambetto e costringe a fare i conti con graffi e lividi che anche dopo tanto lavoro e tanta energia, riescono lo stesso a segnarti la pelle. Benvenuto allora al giudizio, che con la sua fantasiosa, subdola, capace azione ci ricorda che non siamo onnipotenti e che lavorando con gli altri siamo prede e predatori, anche quando cerchiamo di fare del nostro meglio.

 

Il giudizio allora può battere la strada sulla quale potrà passare anche il perdono. Prima o poi.

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