connessi con il mondo, estranei a ...se stessi


René Magritte, Sputnik, 1957

 

connessi con il mondo, estranei a ...se stessi

            Impegnati a soddisfare scadenze, obblighi e bisogni  ci affidiamo agli strumenti informatici di ultima generazione come ad amici capaci e mansueti che con immediatezza eseguono i nostri desiderata e ci consentono di contattare persone, di acquisire informazioni , di organizzare team di lavoro a distanza e ogni esigenza. La docilità di questi portentosi mezzi, sempre più sofisticati e sempre più a prova di utente non edotto, sì insomma, poco pratico è tale che persino interferenze, imprevisti o anche un nostro cambio di programma è includibile in tempo reale (dove va a cacciarsi...l'inclusione).

È così che un appuntamento di lavoro o un colloquio con il counselor viene spostato e dilazionato o anticipato in tempo reale di un'ora, di un giorno o anche soltanto di dieci minuti. E allora? dov'è il problema, se posso in pochi secondi avvertire il mio interlocutore, il partner, il counselor, o il medico che non arriverò puntuale bensì dopo dieci minuti o debbo rinviare ad altra data l'incontro?

 

In realtà di problemi  ce ne sono eccome. Non è forse un comportamento inappropriato il disporre del tempo dell'altro sulla base delle sole nostre esigenze? Anche dovessimo ricevere dall'altro un diniego, lo abbiamo comunque costretto a rivedere la sua programmazione, a darci ascolto oltre il necessario, abbiamo interferito sulle sue occupazioni.  Se a chi è abituato nei confronti degli altri ad usare un atteggiamento autoritario, consentito dal ruolo che svolge,  questo può sembrare un artifizio da bon ton, allora riflettiamo sul fatto incontrovertibile che la pronta disponibilità a modificare e ri-modificare in itinere qualsiasi progetto fa di quel progetto un magma perennemente in fieri. Quella che voleva e poteva essere l'opportunità di migliorare l'organizzazione della mia giornata diventa un'abitudine a lasciare costantemente in sospeso ogni tassello del puzzle, ruotando e rigirando impegni e svaghi o riposo al fine di "far quadrare" ogni cosa. Talvolta usciamo soddisfatti da questo incessante lavorio, ma quasi sempre ne scontiamo tensione, dispendio di energie, stress, esattamente come chi vive in una situazione di continue emergenze, come se "ottimizzare" i nostri tempi significasse coprirne ogni istante con impegni e occupazioni a mo' di palinsesto di una rete televisiva con tanto di palese e persino subliminale pubblicità: un altro dei tanti paradossi con cui, consapevoli o meno, conviviamo.

            Il nodo problematico è appunto questo: beatamente connessi con tutti e tutto, in tempo reale, progressivamente ci allontaniamo da noi stessi fino ad esserci estranei. Cosa intendo per estranei a noi stessi? Comincio da ciò che non intendo: non intendo la depersonalizzazione che indica una condizione psicopatologica, più o meno marcata e persistente, in cui il soggetto vive, quasi sempre penosamente; non intendo l'esperienza di sentirsi distaccato dal mondo delle percezioni, privato di ogni possibilità di comunicazione simpatetica e disancorato anche da se stesso, o sentirsi come un robot o avere una sensazione di irrealtà come se si fosse in un sogno o dentro un film, non intendo insomma il disturbo dissociativo. Intendo la disabitudine all'attenzione verso se stessi, verso i propri comportamenti, le ragioni razionali ed emotive che li determinano, intendo il disinteresse permanente a conoscersi, a scoprire e modellare la propria identità, rapiti come siamo dalle succulente opportunità che il mondo esterno ci offre. Subire il fascino di ciò che da fuori ci attrae, ci fa sentire in corsa con gli altri, ci fa sentire  "integrati" in un mondo in cui sono ormai lontani  i tempi di un'integrazione veniva sentita come una risorsa e al tempo stesso un limite (si era nel secolo scorso, cfr Luciano Bianciardi, L'integrazione, 1960). Essere informati è parola d'ordine che non ammette repliche e non accetta scuse, data la facilità con cui possiamo accedere in qualsiasi momento alla conoscenza. Non ci poniamo la domanda se per caso l'informazione non sia affatto sinonimo della conoscenza e strumento di un libero pensiero; viaggiare nel web, scambiarsi foto e fatti (spesso altrui) di per sé fa sentire liberi, liberi di poter restare connessi per tutto il tempo che desideriamo, a prescindere talvolta persino dal nostro personale interesse: il tasto off non c'è, né lo vogliamo.

La frenesia della connessione, l'ansia da messaggi, la ricerca della visibilità sul web, la riformulazione e l'aggiornamento del profilo pubblico stanno riuscendo ad oscurare, annebbiare, coprire la nostra immagine a noi stessi.

Non ci consola neppure un po' che facebook riconoscerà  tutti nelle foto, anche se il soggetto ha il volto coperto, ma forse entusiasma i più tenaci appassionati della rete. 

 

Cordialissimamente,

Giancarla Mandozzi

 

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