PIU’ INFORMAZIONE E MENO CONOSCENZA. Paradossi del pattume mediatico

Inviato da Nuccio Salis

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Non c’è un errore nel sottotitolo. Ho scritto proprio ‘pattume’ e non piattume. Perché intanto son questi i contenuti che vengono trasmessi pressoché di continuo dalla maggior parte dei media contemporanei. Un ciarpame di nonsenso e sensazionalismo ad ogni costo, per intrattenere il pubblico con la finalità di bombardarlo di spot, slogan e immagini che cambiano rapidamente. Tutto è mercificato e rispondente alla logica della massimizzazione del profitto. Ogni spettacolo ed evento presenta esclusivamente la finalità di vendere prodotti e ricavarne guadagni mediante quote e spazi pubblicitari. Essendo questo l’unico scopo perseguito dai creatori di programmi, che devono rispondere a produttori e concessionari pubblicitari, l’impegno viene catalizzato esclusivamente nel fare audience ed allargare la platea degli utenti che seguono la trasmissione. E più un prodotto è di uso massificato, più viene esposto ad un ridimensionamento del suo spessore e della sua qualità, perché al fine di poterne permettere la fruizione ad una moltitudine più allargata, è noto che bisogna semplificare, ridurre di spessore intellettuale i linguaggi ed evitare di sovra-stimolare le menti di chi riceve, affinché non si affatichino ad interpretare e pensare. Insomma, una vera e propria opera di sfoltimento di tutto ciò che potrebbe nutrire l’intelligenza di elementi nuovi.

 

Questo è un aspetto su cui bisognerebbe introdurre un distinguo molto importante: la differenza fra essere informati e conoscere. Non è detto che la prima condizione realizzi automaticamente la seconda, specie nel caso in cui un’informazione risulta incompleta, imparziale, proveniente da fonte inattendibile o addirittura falsa.

Con l’aumento dell’offerta di strumenti e canali mediatici, veniamo attualmente raggiunti da una mole di dati dalla quantità innumerevole e inimmaginabile. Ciò può dare l’impressione di avere finalmente l’accesso all’universo dell’informazione, ma questo tipo di approccio sarebbe tuttavia incauto e superficiale, se si stesse su questa illusione. Essere saturati da un’invasione di notizie non significa di conseguenza avere la conoscenza. Consegnare informazioni confuse, frammentate e rilette in modo del tutto arbitrario, è un’operazione tanto più facile proprio con l’aumentare del numero delle stesse. È un paradosso nell’ambito comunicativo, ed avviene forse più di quanto non ci riesca di registrarlo.

Non è sufficiente farsi raggiungere da una ondata di notizie a valanga, per dichiararsi documentati o per convincersi di essere aggiornati sugli accadimenti dell’attualità. Sarebbe invece utili riuscire ad applicare una lettura approfondita e critica verso questa crescente farragine di informazioni contraddittorie e spesso create per favorire una fruizione di tipo spettacolare, quindi impressionare, allarmare, suscitare emozioni scioccanti, poiché questo tipo di logica è la stessa che viene applicata ad ogni tipo di format finalizzato a sponsorizzare i prodotti che lo finanziano.

Senza una minima consapevolezza di questi meccanismi suddetti, e dei loro aspetti controversi, facilmente si può accettare di mettere sullo stesso piano l’informazione con la conoscenza. Questo atteggiamento è decisamente fuorviante per quanto riguarda il valore del sapere, dal momento che richiede un cammino da fare anche con le proprie gambe, un percorso attivo di ricerca personale, sperimentazione, messa in discussione, dubbio, approfondimento, critica, sviluppo di alternativi punti di vista.

Nell’era del dominio dell’immagine, questa decodifica intelligente dell’informazione viene sempre meno, in quanto viene promosso sempre più un atteggiamento di pigrizia mentale, di fiducia cieca verso l’esperto, facendo leva sull’euristica dell’autorità. La convinzione di poter contare su una informazione efficace e sicura, solleva dalla fatica di dover contemplare eventuali versioni non ufficiali, che magari destabilizzano anche una consolidata visione di mondo, facendo perdere riferimenti valoriali e sicurezze acquisite. Non è facile, dunque essere lettori intelligenti. Per comodità e per principi di economia cognitiva si preferisce non impegnarsi a seguire ipotesi  di approfondimento.

Tale atteggiamento è decisamente incoraggiato dai media, i quali creano il più delle volte messaggi il cui contenuto è presentato tramite un involucro che cattura l’attenzione in un modo tale da sminuire l’oggetto stesso dell’informazione. Nell’era della visività tutto questo è molto facile da organizzare, ed ecco che la cornice che accompagna una notizia (ambientazione, contesto, colori ecc.) decide ed influenza la credibilità della medesima. Es: a chi far raccontare di aver visto un UFO? Da un pilota militare che ha rotto il silenzio sulla faccenda? No, di certo, si intervista un vecchio solitario col vizio dell’alcol, e lo si fa commentare in studio da uno che dice di essere amico dei folletti.

Chi riceve l’informazione si trova dunque, oggi più che mai, di fronte alla responsabilità di decontaminarsi dall’influenza della cornice, per riuscire ad entrare nel merito di ciò che essenziale. Ciò significa sottrarsi al gioco ingannevole di chi manipola l’informazione mediante artifici di comunicazione persuasiva, interscambiando la figura con lo sfondo, potendo contare su una massa sostanzialmente acritica, addestrata a valutare secondo sensazioni viscerali, prime impressioni, conservazione e difesa delle proprie convinzioni introiettate.

Si deve cioè distinguere fra  coloro che eseguono una lettura marginale dell’informazione e coloro che invece optano per una lettura profonda. il primo stile, come descritto, aderisce ad una procedura superficiale, tipica di chi filtra soltanto ciò che si adatta alle sue personali credenze, e di chi tende a preservare rigidamente i propri stili attributivi di significato sul mondo.

La seconda tipologia di lettura mette in gioco componenti quali la curiosità, il desiderio di approfondire, la ricerca dell’attendibilità della fonte, il confronto fra più opinioni, lo sviluppo di una capacità critica. Certo, tutto questo richiede di investire del tempo, la risorsa più preziosa che ci hanno sottratto, e che molto spesso, non a caso, crea la giustificazione sul doversi astenere ad essere impegnati sul fronte della ricerca e della conoscenza. E poi, oltre a non disporre del tempo sufficiente, si aggiungono anche la stanchezza e la delega al mestierante esperto, come fattori  mediante i quali si completa un atteggiamento di lassismo, rassegnazione ed apatia.

Si dovrebbe cioè insegnare come recepire l’informazione in modo da sottrarsi dal rischio di assuefazione e stordimento, e far prevalere la qualità sulla quantità.

Un lettore profondo, infatti, avrebbe una struttura di personalità che meno si presta alla manipolazione, e quindi si apre a tal proposito una notevole sfida educativa, che consiste nel promuovere e formare un atteggiamento aperto, responsabile e connotato da spirito di ricerca. 

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