IL BRUCO CHE NON VUOL METTERE LE ALI. Strategie di resistenza al cambiamento

Inviato da Nuccio Salis

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Essere chiamati al cambiamento attiva diverse strategie di resistenza. Molto spesso si preferisce desistere dalla possibilità di trasformare se stessi e la propria esistenza, pur di non affrontare il costo della perdita, pur di non aprire l’orribile abisso dell’ignoto e dell’imprevedibile. E molto spesso le distrazioni fittizie non bastano, così come non sono nemmeno sufficienti i falsi bisogni massificati, che ammorbano le istanze più vitali e genuine dell’essere umano. Costui, infatti, facendo i conti con quelle frustrazioni residue interne, di cui non riesce a trovare un nome ed un senso, cerca affannosamente di sfuggire al proprio disagio, ristabilendo la quiete con quello stile di vita la cui dottrina comune ha caldeggiato e diffuso nelle forme del vivere, e che quindi non può mettere in discussione.


La voce del malessere interiore, che si profila come il richiamo d’allarme per de-strutturarsi e rigenerarsi sotto una nuova dimensione dell’esistere, viene così messa a tacere ed impedito l’accesso alle vie più profonde di sé. In questo modo, il soggetto umano che nel frattempo è stato ben addestrato a glissare circa la possibilità di volgere uno sguardo interiore alla sua persona, sarà anche ben contento di defilarsi dal compito di dedicare ascolto e attenzione ai propri segnali di inquietudine. Disavvezzo a tale comportamento, e notoriamente disimpegnato ad assumere una simile impresa, egli si accontenterà di applicare una strategia che gli consenta di conservare le abitudini e la tradizione, ovvero le nemiche giurate del cambiamento e della gioia.
D’altra parte, un pollo che è stato in gabbia per tutto l’arco della sua vita, è assalito da inenarrabile angoscia se lo si sistema presso lo spazio libero e aperto. Potrebbe prendersi di forte spavento, restare paralizzato e inattivo, sentirsi privo di un sicuro contenitore e marcatamente disorientato e perso.
E inoltre, coscientizzarsi impegna e costa fatica. Prima di tutto risulta una fatica cognitiva, in quanto il pensiero sarebbe obbligato ad affrancarsi da tutte quelle forme ormai diffuse di semplificazione, secondo cui ogni argomento sembra ormai essere sottomesso a sintesi e privato di contenuto. L’economia cognitiva prende il sopravvento, coi programmi di studio sempre più “facilitati”, coi percorsi abbreviati, con le richieste della minima prestazione. Si parla con gli scat, con gli sms, si sviluppa un analfabetismo di ritorno che impigrisce l’attività intellettiva e inclina verso l’inerzia, favorisce la pochezza dei contenuti, promuove l’impoverimento del pensiero e il depauperamento del linguaggio, quindi delle capacità analitico-concettuale e creativa, indispensabili ad elevare i processi intellettivi verso espressioni evolute e qualitativamente efficaci e produttive. Ma finché tutto questo non tornerà di moda, sarà difficile pensarlo come una consuetudine diffusa.
Oltre all’evitamento della fatica cognitiva, il peso di cui non ci si carica è solitamente legato alla responsabilità che implicherebbe la rivoluzione di un modello di pensiero ripulito dal ciarpame di tutto ciò che è superato ed obsoleto.
A fronte di queste difficoltà ad accogliere la novità, ed a cimentarsi con nuovi apprendimenti e nuove abilità, si manifestano delle contromisure a difesa della conservazione e dell’immobilità dell’iniziativa. Si sviluppa cioè un atteggiamento di paralisi (freezing) intellettuale, intuitiva e creativa, interviene a censurare quella naturale propensione verso il nuovo, consegnando il soggetto umano ad una stagnazione cerebrale, emotiva e affettiva.
Fra queste strategie, sconosciute perfino da chi le attiva, in quanto non gestibili da un loop consapevole di controllo su di sé, si annoverano provvedimenti quali:

 

a). RISTRETTEZZA DELLA SCELTA: Diverse persone, poste di fronte alla possibilità dell’alternativa, si rifugiano in un aut-aut, non contemplando l’arricchimento offerto dalla nuova esperienza, quanto piuttosto paventandone soltanto la perdita. Es: “Ma se non mi ubriaco al sabato sera, cosa mi rimane di una vita senza divertimento?”

 

b). SEMPLIFICAZIONE AL NEGATIVO: Succede quando si cerca il benché minimo indizio per confermare le proprie teorie implicite, sugli altri o sulla situazione. L’evento è ricollocato dentro i propri schemi di lettura Es: “Stai attento a quella persona, chi ti racconta certe cose è poco raccomandabile”

 

c). RASSEGNAZIONE: Si sviluppa quando la persona, per giustificare la propria passività innanzi alla possibilità di cambiamento, attribuisce alle contingenze esterne il carattere di una insuperabile difficoltà. Es: “Ma tanto non cambierà mai nulla, noi non abbiamo alcun potere”

 

d). PREDIZIONE CATASTROFICA: Quasi in rapporto consequenziale alla precedente, poiché si immagina e si ipotizzano scenari che conservano comunque la situazione attuale, e che quindi in un certo senso rassicurano e restituiscono la percezione di stabilità. Es: “Tanto se anche cambierà qualcosa sarà per poco, poi succederà qualcos’altro che farà ricapitolare tutto”

 

e). RIDUZIONE POSITIVITA’: Si tratta di una impiegabile forma di negazione e ostruzione al cambiamento, in quanto anche di fronte all’evidenza o alla prospettiva di un possibile cambiamento, il soggetto che è terrorizzato dal fatto di doversi rimettere in discussione, potrebbe facilmente minimizzare le conquiste positive che possono rendere migliore l’esistenza. Es: “Si, vabbè, si vincerà un’importante battaglia, ma sarà come aver tolto una goccia dal mare”

 

f). CONGELAMENTO CONVINZIONI ERRATE: Chi si è irrigidito sulle proprie convinzioni non è minimamente intenzionato a mediarle, pur di fronte a palesi cambiamenti di natura storica e culturale. Es: “Io la penso così e basta. Rimango inamovibile sulle mie posizioni”

 

g). FATALISMO: È la classica idea del destino che perseguita, e che decide e scrive fra le stelle o i pianeti tutto ciò che in genere risulta in mano alla volontà della persona, e che in questo caso viene negata. Es: “Se dovrà succedere vuol dire che è il fato, e noi non possiamo farci niente”

 

h). FIDEISMO SU INTUITO: Spesso abusato da quelle persone che sentono di non sbagliare mai le loro previsioni (in genere quasi sempre catastrofiche) Es: “Lo sento quando non andrà bene, ed io non mi sbaglio mai in queste circostanze”

 

i). RIMPIANTO RETRODATATO: È spesso presente fra quelle persone che si ritrovano sempre su un punto morto, ogni qualvolta, di fronte a una decisione, richiamano le occasioni lasciate e i treni perduti. Senso di non autoefficacia, rimorsi, colpe e altri veleni commissionati fra loro, bloccano il prosieguo di un percorso di crescita, facendo riemergere soltanto ferite e tristi ricordi. Sono coloro che cominciano spesso le frasi con “Se a quel tempo avessi…”, e si piangono sopra con un bel “Ormai ho sbagliato e non posso più ritornare indietro”

 

Una variante di quest’ultima formula citata potrebbe consistere in un atteggiamento di rimpianto al positivo, ovvero di coloro che invece ritengono migliore il loro tempo storico ed emettono dure critiche alle circostanze contestuali di una modernità con la quale non sentono di essere in sintonia.
Qualunque forma si esprima in modo dominante, fra quelle riconosciute ed elencate, l’immagine che si restituisce è comunque quella di una diffusa tipicità comportamentale, comunemente riscontrabile fra i più: la paura di accogliere nuove conoscenze e venire a contatto con inedite modalità del pensare e dell’agire. Questo terrore che l’essere umano si porta dentro, sta rappresentando la stagnazione di una civiltà che non sembra voglia sviluppare l’interesse e il coraggio di svecchiarsi di tutte le sue dottrine antistoriche.
Tutte le forme reattive sopracitate sono contro la verità, ovvero a sfavore di ogni ipotesi di libertà è di vera autonomia. Aiutare la persona a partorire il nuovo, vorrà dire anche accompagnare il soggetto al dolore del parto, nonostante la richiesta sempre più diffusa sia quella di raggiungere obiettivi e soddisfare bisogni profondi, evitando il significato della sofferenza, del sacrificio e dell’impegno, in perfetta linea con la nuova tendenza alla semplificazione e alla società dello slogan “tutto e subito, e senza troppa responsabilità”, col rischio di trasformare anche l’operatore dell’aiuto in un consultore manageriale, addetto alla continuità dell’illusione.
 

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