LEGGERE E COMUNICARE I SENTIMENTI. Le sottodimensioni della competenza emozionale

Inviato da Nuccio Salis

comunicare i sentimenti

La capacità di sentire ed esperire i propri sentimenti è ultimamente al centro di ricorrenti discussioni, sia nell’ambito comune che in quello specialistico riservato agli ambienti della ricerca e dello studio sulle dinamiche dei rapporti interpersonali. Spesso, si parla di tale attitudine come un fattore percepito sempre più come debole, svilito da rapporti personali sempre più fondati da disvalori quali l’indifferenza, l’invidia, l’arroganza, l’arrivismo e i soprusi premeditati per ragioni alquanto deprecabili. Al tempo stesso, tale capacità è anche avvertita come utile e necessaria per la cura dei rapporti umani, contaminati dalle condizioni appena citate. Ci si chiede quindi come fare per recuperare la bellezza dei rapporti umani, spesso descritti ormai su un panorama nostalgico di ricordi attempati, avulsi di un’immanenza poetica volta a richiamarne un impellente necessità di ripristino.

Nell’ambito dell’inchiesta specialistica, si ricercano i fattori maggiormente coinvolti nello sviluppo di tale articolata procedura, al fine di comprenderla e sostenerla con mezzi e strumenti adeguati.

 

Fin dagli anni Novanta, sono state identificate le 3 importanti variabili che descriverebbero in modo esaustivo i singoli elementi che strutturano il processo regolativo della competenza emozionale. L’analisi, condotta soprattutto all’interno di una chiave di lettura orientata a quantificare mediante items i livelli standard della competenza emozionale, mediante l’ausilio di apposite scale metriche, focalizza l’attenzione sul deficit di tale capacità, enunciandole ed esponendole al negativo. Come ricercatore ad orientamento umanistico, riporterò al positivo tali enunciati, argomentandoli coll’impegno di descriverne i processi secondo un paradigma volto a ricercare lo sviluppo e il consolidamento della funzionalità.

Le 3 sottodimensioni, rinominate dunque in valenza positiva, sono le seguenti:

 

a). Capacità di identificare i sentimenti. La competenza suddetta implica l’abilità nell’attribuzione di sofisticate sfumature interpretative nei confronti dei vissuti sviluppati in effetto alle vicende personali che li hanno generati. Il sentimento, infatti, oltre all’aspetto puramente emotivo, contiene un correlato concettuale, che lo rende un’esperienza più complessa rispetto alle risposte istintuali e meccaniche determinate dalle emozioni primarie. Ciò significa che tale fenomeno prevede un passaggio dalla pulsione e dai suoi schematismi automatici, a una struttura risultante da una miscellanea derivata dalle emozioni di base. Per avvertire di essere in sintonia con un sentimento, insomma, bisogna anche aver raggiunto un livello di maturità sufficiente nella competenza della lettura intrapsichica. Avvertire consapevolmente il motto interiore dei propri sentimenti, equivale ad acquisire capacità di descrizione causale dell’associazione fra eventi; ed una buona sintonizzazione interna include anche la corretta percezione tonale nel gradiente emozionale (es: molto preoccupato invece che discretamente preoccupato, furioso piuttosto che risentito ecc.)

L’identificazione dei propri stati d’animo è dunque il primo passo verso un funzionale orientamento nei confronti dell’ambiente sociale. L’attribuzione e la collocazione corretta della tipologia emozionale secondaria, infatti, offre la possibilità di valutare in modo constatativo, il legame esistente fra stimoli produttori della componente emozionale ed effetti generati su di se e su di se in relazione all’ambiente. È facile a questo punto intuire l’importanza nel definire e comprendere in modo appropriato uno stato emozionale, per non cadere vittime di false attribuzioni e non corretti giudizi di valore, come se si fosse su un piano di disturbo percettivo. Di fatto, chi ha difficoltà nella gestione e nella comprensione delle proprie emozioni, tende molto facilmente a proiettarle sugli altri, diventando facilmente manipolatore o accusatore, dispensandosi così dalla possibilità di pensarsi soggetto attivo e responsabile circa le espressioni dei propri motti interni.

Favorire la corretta padronanza di questa importante competenza, dunque, risponde a importanti necessità sulla funzionalità dei processi interpersonali, quindi sulle possibilità di negoziazione, specularità e comprensione reciproca con i propri interlocutori. Discutendola su questo piano, risulta più che evidente come questa abilità sia correlata con quella contigua e speculare dell’empatia, a riprova che sembra proprio impensabile descrivere i processi emozionali di un individuo senza doverlo riconnettere alla sua dimensione socio-relazionale. Inoltre, da questo punto, l’argomento assumerà in seguito anche facili declinazioni politiche, in quanto l’importanza di un approccio costruttivo, nell’ambito della mediazione interpersonale, investe sia ambiti micro che macro-sistemici.

 

b).Capacità nel comunicare agli altri i propri sentimenti. La seconda abilità indicata in elenco si riferisce a quell’attitudine consolidata dall’esperienza, che conferisce a un individuo anche una destrezza nella gestione dei legami interpersonali, utilizzando proprio i processi emozionali come risorsa principale di alleanza e solidità nella relazione. È un’abilità che deve essere necessariamente esercitata, per dare alla medesima una direzione di reale valore ed autentica espressione di condivisione affettiva e supportiva fra le parti. Non sempre infatti, chi sembra possedere anche una dote naturale nell’avviare esperienze di contatto e comunicazione, si pone finalità altruistiche o di gratuità piacevole e spassionata dell’incontro o della relazione. Questa capacità, dunque, non dovrebbe forse essere soltanto avvertita come una risorsa fine a se stessa, utile soltanto per chi invia i propri contenuti esperienziali; poiché in questo caso se ne ravvisa una funzione egoistica, che può consistere, per esempio, nel comunicare i propri stati d’animo solo per rovesciarli dentro altri contenitori-persona e liberarsene. In particolari condizioni di dolore o di euforico successo personale, per esempio, vi sono soggetti che non ricercano una condivisione compartecipata in merito alle loro vicissitudini, specie se oltretutto impiantati su una struttura di personalità egocentrica. Ecco che ancora una volta, in mancanza dell’elemento della considerazione anche dell’altrui motto d’animo, l’assenza della volontà di sintonizzazione reciproca con l’interlocutore, rende una comunicazione eventualmente ricca di contenuti, poverissima di senso e di reale condivisione.

Un percorso di sviluppo della competenza nella comunicazione dei contenuti emotivi, dunque, dovrà tenere conto dell’elemento dell’ “altruità”, importante fattore della reciprocità interpersonale, che assumerà la funzione di prevenire rapporti disturbati dall’urgenza di doversi raccontare, col rischio di agganciare interlocutori non disponibili, non capaci, o “vittime sacrificali” di passaggio, costrette a sorbirsi narrazioni oltremodo stancanti. L’Io narrante, inoltre, dovrà esercitarsi anche nell’essere il più possibile descrittivo, altrimenti la comunicazione si riduce a un mero fatto quantitativo, mentre richiede e sollecita proprio la capacità di riconoscere il legame fra il modo con cui ci raccontiamo e la corrispondente immagine di noi stessi che ci siamo creati, con le sue determinanti copionali e aspettative di vita. Dunque, non basta raccontarsi per poter segnalare di avere competenza comunicativa. Quel che più conta, piuttosto, è l’abilità del raccontarsi tenendo conto del piano di realtà e del livello ricettivo altrui, investendo sulla propria capacità di corrispondenza, comprendendo che una volta assunti all’interno di un processo comunicativo, siamo diventati a nostra volta soggetti trasmittenti e riceventi, nel complesso e intrecciato gioco di rimandi e di aspettative, intenzionali e non.

 

c). Pensiero direzionato all’interno. Senza alcun equivoco, il riferimento a tale capacità riguarda l’impegno che ciascuno si assume per sviluppare la visione lucida sul proprio mondo interiore. Essere autocentrati sulle proprie dinamiche intrapsichiche, con un atteggiamento propenso all’elasticità, orientato al cambiamento possibile, in grado di cogliere se stessi come realtà personologica in divenire, è la posizione auspicabile per ritrovare sempre il proprio focus personale. Sentire se stessi, innanzitutto, è la prima condizione che apre alle successive competenze di contatto, apertura e confronto relazionale. La spinta a maturare lo sguardo interiore deriva da un permesso primario, quindi da un atteggiamento di incoraggiamento all’esplorazione di sé, sollecitato da figure educative che fungono da capaci trainer emozionali. Lo stile di cura e affettività modulato durante il primo anno di vita, rappresenta l’impalcatura necessaria ad interiorizzare l’idea di sé come soggetti degni di ricevere amore, e di conseguenza si fa forza in maniera naturale l’idea stessa dell’ “osservarsi dal di dentro”, assumendo se stessi come oggetto di studio; dapprima mediante la sensorialità propriocettiva, e in seguito mediante un percorso di maturità cognitiva e spirituale, che contempla la possibilità di comprendersi, progredendo nella percezione di sana autoefficacia e stima di sé.

A questo proposito, attività di lettura quali il racconto d’avventura, la fiaba, o qualunque altra forma di narrazione purché in grado di accattivare l’interesse e l’attenzione del soggetto, si prestano ad affermarsi come vere e proprie tecniche di alfabetizzazione emozionale, che possono anche essere eventualmente introdotte e pensate anche nell’ambito della formazione “prescolare”,  applicati cioè come strumenti preventivi in grado di arginare il crescente fenomeno dell’alessitimia e della disaffettività nei rapporti ad elevata pregnanza emozionale.

Altre tecniche basate sul gioco possono anche essere proposte e somministrate nell’ambito famigliare, dove il genitore come trainer emozionale potrebbe, per esempio, utilizzare la sciarada delle emozioni, ideata dallo psicologo Edward Shapiro. Il gioco consiste nell’avere a disposizione delle carte in ognuna delle quali è riportata un’emozione. Essa può essere di base oppure complessa. Chi la estrae a sorte, potrà o mimarla, oppure descrivere una situazione nella quale l’ha sperimentata, ma senza nominarla, di modo che il giocatore coinvolto possa indovinarla. Questa scatola magica che contiene un tale gioco ad elevato impatto emozionale, avvicina in genere genitori e figli su un piano di lettura emozionale più adeguata e costruttiva, aumentando la capacità reciproca di comprendersi, accogliersi e mediare i conflitti gestendo le divergenze.

 

Non di poco conto, dunque, risulta la competenza complessa sulla lettura ed espressione emozionale, vissuta nella dimensione che integra il livello intrapsichico con le sovrastrutture valoriali e convenzionali presenti nell’ambiente sociale. È tale capacità, infatti, che fa di ciascuna persona un soggetto attivamente adattato, in grado di disporsi con ricettività nei confronti degli stimoli ambientali, programmando risposte idonee che facilitano l’incontro con l’altro vissuto su un piano di empatia e reciproca accoglienza.

Un obiettivo riservato ad una progettualità educativa trasversale, nell’ambito di un’ampia e irrinunciabile collaborazione fra tutte le agenzie deputate alla formazione dell’individuo come persona e come cittadino. L’augurio è che si colga l’importanza di assumersi una tale responsabilità pedagogica, e che si promuova uno sforzo sinergico in grado di mettere in campo tutte le risorse necessarie perché la società rivaluti la salute delle emozioni nelle relazioni interpersonali come l’investimento più prezioso nel tentativo di ricostruire una società in piena emergenza di sfaldamento dei rapporti solidali.

Una speranza da affidare prima di subito a un piano globale di rieducazione sociale, per perseguire la finalità di riproporre una sana ricerca e tenuta di relazioni interpersonali sane, funzionali, e ad elevata significatività formativa.

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