IO SONO FATTO COSI'! IL PREGIUDIZIO SU NOI STESSI


io sono cosi come sonoDa piccoli, sentiamo i grandi che parlano di noi. Ne parlano anche in nostra presenza, come se non ci fossimo. Ma noi li sentiamo, eccome.

Ah, la bambina, è così buona, timida, disordinata, imbranata, parla bene, etc. etc. .

Ah, il bambino, è così affettuoso, scatenato, ha un carattere chiuso, è lento, è bravo, etc. etc. .

Queste affermazioni si chiamano attribuzioni.

Un bambino ci crede, perché lo dicono i grandi, che sanno tutto.

Da piccoli riceviamo istruzioni, non solo “operative” (lavati le mani, finisci quello che hai nel piatto, vai a fare i compiti …, sono centinaia, forse migliaia), ma anche istruzioni su di noi, sul nostro essere, che sono molto più pesanti, soprattutto quando diventano divieti. Anche queste istruzioni sono molte, spesso iniziano col NON, non essere timido, non essere così imbranata, non … . Spesso questi comandi confermano le attribuzioni. Se i grandi mi dicono non essere … significa che lo sono.

 

Veramente, i grandi stanno un po’ semplificando. Schematizzano e sintetizzano alcune caratteristiche che magari sono presenti, ma dimenticano che ce ne sono anche altre, presenti o potenziali, un bambino non è una sola cosa, o solo un paio. E in prospettiva ha ancora tanto da crescere, da diventare.

Spesso la schematizzazione è fatta per confronto, quando ci sono più bambini (fratelli, cugini, amici). Tu sei cattivo! Non litigare! Non fare i dispetti! Lui è più bravo, educato, buono, etc… Lei è più svelta, ordinata, buona, carina etc… .

Il confronto enfatizza ulteriormente, tu sei, non essere, non fare …  

Una parte di attribuzioni e di comandi riguarda poi la sfera emozionale, sei triste, non essere triste! Sei pauroso, non aver paura! Stai allegra! Sorridi! Etc. etc.. E così riceviamo anche una specifica educazione emotiva, che riguarda quali emozioni si possono provare e quali no, quali si possono manifestare e quali no.

Quando è a contatto con la realtà e con gli altri, un bambino verifica se le attribuzioni che ha ricevuto sono confermate, senza sapere che i suoi comportamenti sono influenzati da quelle parole. Non sa se si comporta da timido, ad esempio, perché lo è, o perché gli hanno detto che lo è, e ci ha creduto. Sono pensieri troppo involuti per un bambino, che semplicemente segue quello che gli dicono i grandi.

Oppure, un bambino ribalta l’attribuzione. Non è vero che sono …, sono l’opposto! In un percorso di ribellione ugualmente condizionato.

Attribuzioni e comandi sono ripetuti e confermati centinaia, migliaia di volte. Certo, è una faccenda più complessa, qui è tratteggiata velocemente, ma nell’insieme si svolge all’incirca così.

Da grandi, continuiamo in gran parte a tenere conto di quelle attribuzioni, o di quelle che abbiamo ribaltato. Il fatto che siamo sempre stati così, ce lo dicevano sin da piccoli, invece di aprire qualche dubbio sulla validità di quelle asserzioni ci pare una inconfutabile conferma. Non ci viene il dubbio che trattandosi di roba di tanto tempo fa potrebbe essere da rivedere, da aggiornare, almeno un po’.

In sostanza, acquisiamo una serie di opinioni su noi stessi, a cui crediamo.

Queste opinioni ci paiono verificate, abbiamo ottenuto riscontri, sia dagli altri che dagli eventi.

Una parte di queste opinioni ha un fondamento di verità, certo.

Ma una buona parte è andata a costituire un pregiudizio su noi stessi.

Il pregiudizio, ciò che fermamente crediamo di essere e lo crediamo da una vita, produce i nostri comportamenti, che così confermano il pregiudizio stesso.

Il pregiudizio su noi stessi è rassicurante, perché sappiamo come siamo, cosa siamo.

Ma ci ostacola, facciamo più fatica ad affrontare la realtà, gli altri, il lavoro, le amicizie, gli amori, la vita. Il pregiudizio è limitante, ci confina in uno schema. E non necessariamente è vero del tutto, se ci crediamo un po’ meno scopriamo che in effetti abbiamo altre possibilità, altre risorse.

E ci stupiamo, ma guarda … non è da me.

Quando fatichiamo ad affrontare un problema o a prendere una decisione, c’è sempre, o quasi sempre, un pregiudizio limitante su noi stessi, che ci frena e che prendiamo per buono, ma buono non è, non del tutto.

Rompere questi schemi è faticoso, e a volte doloroso. Rinunciare anche solo in parte a ciò che abbiamo sempre creduto su noi stessi non è affatto facile. Contraddire quello che i grandi con autorità assoluta hanno a suo tempo affermato su di noi è destabilizzante, anche se ora siamo grandi noi.

Alcuni affrontano questo processo evolutivo nel tempo e ammorbidiscono schemi limitanti e pregiudizi su se stessi, altri fanno il percorso opposto e irrigidiscono lo schema ulteriormente, fino a perdere in gran parte la possibilità di un cambiamento.

Dove facciamo più fatica, dove la differenza tra la realtà da affrontare e il nostro schema è maggiore, qui può intervenire il counseling.

A volte è importante una domanda evolutiva: quale opinione che hai di te stesso in passato ti ha limitato?E a volte basta il coraggio di darsi una risposta sincera per far partire il cambiamento.

Non è che dobbiamo diventare tutt’altro, ma possiamo diventare un po’ meno condizionati, un po’ meno rigidamente inquadrati in ciò che crediamo di essere. 

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