EVITARE E SPEZZARE IL RAPPORTO SIMBIOTICO: dalla dipendenza all’interdipendenza

Inviato da Nuccio Salis

simbiosi1.Nessun individuo umano potrebbe sopravvivere senza una continua fonte di cure che gli rassicuri la crescita e la permanenza della vita. Questa legge è talmente così marchiata nel repertorio genetico del genere umano, che lo stato di natura ha provveduto a far propendere l’animale-uomo ad accettare di rimanere eventualmente in una posizione di passività ad oltranza rispetto al suo datore di cure, pur di evitare di rinunciare e sottrarsi alle premure di una fonte dispensatrice di attenzioni, a prescindere dalla qualità affettiva di queste. Insomma, la conservazione biologica prima di tutto, questo sembra suggerire la legge della natura.

Ad un essere umano, tuttavia, non è sufficiente avere una vita biologica, oppure agire semplicemente secondo comandi ed impulsi preformati dal corredo comportamentale prescritto dal suo disegno fisiologico e bio-chimico. Il soggetto umano, infatti, si considera elevato alla vita dal momento in cui è libero di scegliere, decidere, applicare atti di volontà, responsabilità e libero arbitrio. Egli desidera individuarsi, conquistarsi uno “spazio psichico” personale, mettendo insieme esperienze, vissuti, creatività, progetti, valori, tensione metafisica; agendo e programmando la propria esistenza sulla base di obiettivi trascendenti ai noti bisogni di base.

 

Se le fasi evolutive iniziali sono contrassegnate per la maggiore dallo stato di bisogno, nelle fasi di sviluppo successive ciascuno di noi ha cercato di autodeterminarsi e di costruire una propria dimensione identitaria, all’inizio secondo approcci rudimentali caratterizzati dal rivolgere l’attenzione verso succedanei modelli per lo più omologanti, poi da atteggiamenti maggiormente maturi cioè proiettati verso personali orientamenti di valore, costruttivi per se e per gli altri. In pratica, abbiamo dovuto attraversare diverse fasi seguendo il processo della differenziazione, ben noto soprattutto agli psicologi dell’età evolutiva che ci descrivono i passaggi salienti di un processo che ha come finalità il compimento dell’individuo sano che distingue l’Io dal Tu, ed al contempo se ne identifica in modo empatico ma non confusivo.

Tuttavia prima di procedere per natura al percorso della differenziazione, affinando nel corso strumenti sempre più sofisticati, abbiamo anche aleggiato in una comoda posizione di passività e di adattamento funzionali, dal momento in cui, nella condizione di richiedenti cure e attenzioni, qualcuno si è prodigato nell’attivare quel sistema di caring che ci ha consentito di sopravvivere, superando le fasi più delicate e vulnerabili degli stadi legati alla crescita.

La permanenza di tale condizione  oltre la finestra temporale necessaria a porre le basi per la propria autonomia, crea una fissità e rigidità in merito alla distribuzione dei compiti fra datore di cure e ricevitore di cure, che gli stessi finiscono con l’immedesimarsi adesivamente a rispettivi ruoli complementari che si rimandano specularmente a vicenda le loro reciproche mansioni, generando quel rapporto fusivo, statico e paralizzante che prende il nome di simbiosi.

 

2. Possiamo trovare il rapporto simbiotico soprattutto laddove esistono in una delle due parti in causa oggettive condizioni di bisogno. Caratteristiche invalidanti, limiti evidenti, menomazioni e difficoltà misurabili relegano un soggetto in una posizione richiedente, facendone spesso una calamita di attenzioni esclusive e di sostegno speciale. Affinchè avvenga la simbiosi, però, è necessaria la compartecipazione causale di entrambi i soggetti coinvolti nella relazione fusiva. Quindi, un soggetto in oggettivo stato di difficoltà o malessere verificabile, potrà essere risucchiato all’interno di uno schema relazionale simbiotico soltanto se la controparte lo segue o lo istiga nel vestire il personaggio di colui che soffre. Le insidiose trappole ordite anche inconsapevolmente da chi richiede numerose ed accurate attenzioni, sono potenziali fattori contingenti di relazione simbiotica. Questa “macabra danza”, allora, può essere prevenuta ancor prima che ne assuma forma e processo. Una buona (e magari più che buona) conoscenza di se sarà utile per  gestire tutti quegli aspetti identitari prodottisi da vissuti ed esperienza, che possono eventualmente farci propendere verso l’innesco di un rapporto simbiotico.

Se per esempio sentiamo una sorta di spinta missionaria a prenderci cura dell’altro, tale nobile motivazione, se non opportunamente monitorata, potrebbe farci precipitare all’interno di un ruolo che tende a declinare ogni relazione interpersonale in un progetto di cura e di assistenza non richiesta, magari invasiva e depotenziante nei riguardi dell’altro. A questo punto, è sufficiente incontrare una persona particolarmente passiva e adattiva in modo compiacente per attivare il paventato rapporto simbiotico. D’altra parte, quindi, sarebbe conveniente riconoscere anche la propria eventuale mancanza di assertività o di claudicante senso di responsabilità nell’assumere decisioni autonome, produttive e coraggiose. Questo, infatti, ci rinchiuderebbe dentro un atteggiamento delegante e pretestuoso in merito alle prestazioni reclamate verso chi attribuiamo il ruolo di un servizievole caregiver o di un despota che però ci alleggerisce del peso di dover prendere decisioni.

La chiave risolutoria che riguarda la spezzatura della simbiosi, sembra dunque essere suggerita da una radicale modifica dei concetti, degli orientamenti di valore e degli atteggiamenti assunti da ciascuna singola parte coinvolta nel processo simbiotico.

Cosa può o deve fare, dunque, ciascuno dei soggetti partecipanti, affinchè vengano divelte le catene della simbiosi?

 

3. Le responsabilità del dispensatore di cure riguardano un progressivo impegno nel rinunciare alla propria immagine di impeccabile facilitatore altruista e indispensabile, per esempio. Nel proporsi, ed anzi spesso imporsi, secondo questa inclinazione, l’erogatore di attenzioni dimentica che egli stesso ha o può aver bisogno di premure e di aiuti specifici, quindi svaluta o nega i suoi limiti. Egli non si da il permesso di scoprire o ammettere le proprie fragilità perché nella cronicizzata linearità della relazione simbiotica egli non può concedere spazio ad ipotesi alternative o dinamiche. “Le cose funzionano così perché devono funzionare così”, taglierebbe corto, ricorrendo a un precetto di stabilità e prevedibilità che rappresenta la fortezza protettiva dal possibile cambiamento. Quindi un aiuto efficace per ristabilire, riprogrammare o addirittura costruire ex novo un atteggiamento alternativo, include la capacità di espandere ed elasticizzare i propri costrutti interni, smettendo di chiedersi troppo, di essere per forza e sempre all’altezza, di attendere a tutto ciò che la controparte si aspetta, a pensare cioè che ottenere riconoscimenti a questo prezzo è del tutto dispendioso e logorante, e che non assicura in fin dei conti l’apprezzamento autentico e la felicità. È necessario cioè che chi assume al posizione “up” nello schema simbiotico, possa riprendere o re-imparare il dialogo con se stesso, riscoprendo ed accogliendo i propri bisogni e le proprie potenzialità rinnegate per via di rigide auto-attribuzioni seriamente limitanti.

D’altra parte, chi è in stallo nella posizione “down”, per rompere l’incantesimo simbiotico ha un gran lavoro da fare sul piano della responsabilità e del riconoscimento dell’altro non soltanto nella misura in cui sia in grado di occuparsi del richiedente cure. La strada da battere riguarda il cammino verso l’uscita dal proprio egocentrismo e dal proprio spropositato iperadattamento. Imparare per esempio che, anche partendo dal proprio piccolo e tenendo conto di eventuali manchevolezze o deficit oggettivi, si può attivare il comportamento di cura, non soltanto riceverlo e basta. Sarebbe un rovesciamento interessante, dagli esiti incerti ma indubbiamente stimolanti e rivoluzionari.

 

4. L’atteggiamento delegante, fra l’altro, è assai diffuso anche senza necessariamente citare o dover tirare in ballo il fenomeno della simbiosi interpersonale. Di tale aspetto è necessario prendersene assai cura, perché il vantaggio protettivo non è un buon investimento per diventare ed essere liberi nel senso più pieno e riempitivo del termine.

Allora, mi domando, cosa può o dovrebbe fare ciascuno di noi per evitare di entrare in regime di sudditanza come parte passiva di un legame simbiotico?

Nel mio tentativo di risposta ho elencato i seguenti punti:

_ Darsi potere: Riconoscere, oltre ai propri limiti, anche i propri pregi ed i punti di forza e di valore. Investirli in una relazione, infatti, ci aiuta ad essere assertivi, ovvero ad appropriarsi del giusto spazio psicologico ed interpersonale, e ad essere facilmente più rispettati ed accolti. Rafforzare in sintesi la stima di se, e verificarla sulla base di progetti che prendono corpo e sostanza.

_ Pensare creativo: Per distruggere la relazione simbiotica bisogna in fondo essere sediziosi. Soltanto riappropriandosi di una nuova immagine di se, magari più autentica e più proiettata verso l’accettazione del nuovo, col proposito di esserne addirittura fautori o attivi fruitori, sarà più facile attivare assortite opzioni di problem-solving, scoprendo in modo tangibile la forza del pensiero sperimentale e laterale, ottimo punto di partenza per realizzare di essere in grado di cavarsela da se, col proprio ingegno e con la propria autoanalisi.

_ Giusta informazione: Spesso per sperimentare le giuste soluzioni, se non sono ricavate ex novo, abbiamo anche bisogno di una conoscenza che non sia fuorviante e mistificata. Se invece ce l’abbiamo così, allora diventiamo ricercatori, pensatori, e diamoci la possibilità di rielaborare in modo innovativo anche le cose del passato che ci hanno ferito, per usarle funzionalmente nel qui ed ora.

_ Avere alternative materiali: L’autonomia, unico vero e certo salvacondotto che ci affranca da insani legami, è soprattutto una questione di testa e cuore, non ci piove su questo. Assocerei comunque l’importanza di poter godere di una indispensabile e basilare fornitura come mezzo per facilitare il traguardo dell’autonomia. Sottrarsi alla simbiosi, perché si è liberi mentalmente, potrebbe essere più faticoso laddove si è richiamati al gioco simbiotico in quanto costretti a convivere sotto lo stesso tetto del ricercatore di simbiosi.

 

Uscire dalla simbiosi è importante per la qualità della vita, poiché lo sforzo che si deve compiere nel caso di esserne rimasti intrappolati per un periodo sensibilmente esteso, è pari alla successiva conquista del proprio diritto ad essere liberi, ad essere individui, a tessere legami appaganti di intimità reciproca, a godere del fatto di avere pensieri e percezioni proprie. 

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