L’intervento terapeutico attraverso la Psicoterapia della Gestalt e l’Analisi Transazionale

Inviato da Angela Venuti

uomo montagnaNella pratica terapeutica, un counselor ad indirizzo gestaltico e analitico transazionale utilizza il modello integrato della  Gestalt (che opera simultaneamente con tutti gli aspetti della persona) in chiave Analitico Transazionale che consente di scegliere, sulla base delle proprie competenze, le strategie adeguate alla singola persona e al problema specifico. 

Ipotizziamo che richieda il mio intervento come counselor una cliente psicosomatica.

Una paziente psicosomatica è generalmente preoccupata del sintomo somatico ed è proprio partendo da questo che la relazione Io-Tu può prendere l’avvio, tenendo presente che la domanda reale della cliente non coincide necessariamente con il sintomo che presenta. La patologia emotiva, accanto a quella organica, ha spesso delle ripercussioni sulla vita femminile che possono manifestarsi con un’alterazione del ciclo mestruale o con crisi di angoscia e di dolore. E’ importante vedere il disturbo come conflitto che tocca la persona o che ha un senso per essa poiché, talvolta, non fa che manifestare un disagio esistenziale o relazionale.

   Il mio compito sarà, innanzitutto, vedere cos’altro  c’è al di là del dolore, per cui diventa importante definire il sintomo, vedere in cosa esso sia sofferenza emotiva (paura, pessimismo, senso di colpa) e  mettere in atto un progetto di trattamento che non si fermi al dolore. Esso infatti è solo il punto di partenza per conoscere il vissuto della cliente e sentire ciò che ella sente. Spesso il disturbo attuale non viene fuori dal nulla, ma ci sono dei punti di riferimento lungo tutta la sua vita che, in un modo o nell’altro, ne hanno preparato il terreno. Seguendo questo approccio non si fa più la storia della malattia, ma la storia della malata. E’ importante conoscere gli aspetti della vita familiare della cliente, quanti fratelli o sorelle ha, il posto che occupa nella famiglia, le relazioni reciproche, la relazione con i genitori, il tipo di educazione ricevuta. Così come è importante individuare gli avvenimenti della vita privata e professionale, le situazioni di armonia o di disaccordo, se c’è o meno una vita sessuale. 

   Solitamente, una paziente psicosomatica ha una scarsa capacità di espressione emotiva, una tendenza a reprimere l’aggressività e   a disconoscere i propri bisogni, il dolore, quindi, può esprimere una richiesta di aiuto oppure una forma di aggressione contro l’autorità.   

   Usare il corpo per esprimere un bisogno rinvia a modalità infantili in quanto, come per il bambino, c’è l’impossibilità di verbalizzare un desiderio. E’ dunque plausibile affermare che se la comunicazione diretta di un bisogno è ostacolata da norme interne, essa si esprime e si sperimenta come dolore e, in termini analitico transazionali, possiamo parlare di conflitto tra gli Stati dell’Io Genitore e Bambino.  Ad uno Stato dell’Io Genitore Normativo risponde uno Stato dell’Io Bambino Adattato per cui la persona trova una soluzione di compromesso di natura regressiva di fronte ad un conflitto che sembra insolubile. Nella pratica terapeutica dell’A.T., uno dei sistemi per venire fuori dal conflitto è la tecnica delle tre sedie  che significa mettere l’Adulto come osservatore esterno per favorire il riallineamento e l’identificazione dei contenuti che provengono dai tre Stati dell’Io.

  La mia metodologia di lavoro si fonda sostanzialmente sui principi dell’Analisi Transazionale, nel rispetto dei quali l’intervento si focalizza sulla decontaminazione e il rinforzo dello Stato dell’Io Adulto della cliente; sul potenziamento delle sue risorse e competenze personali con l’obiettivo di favorire il cambiamento in un lasso di tempo limitato (terapia breve con obiettivi specifici di cambiamento).

   L’approccio analitico transazionale mi permette di orientarmi nelle varie fasi della terapia tenendo presenti alcune linee guida:

ü      la focalizzazione  del problema e la definizione del contratto;

ü       la diagnosi funzionale (comportamentale e sociale) degli Stati dell’Io della cliente;

ü       la pianificazione del trattamento che, partendo dal sintomo, esplorerà il vissuto della cliente fino ad arrivare alla definizione di quelli che sono i vantaggi secondari del disturbo somatico (aumento della simpatia e dell’attenzione da parte di familiari e amici, fuga da ogni responsabilità, ottenere gratificazioni);

ü      la verifica degli obiettivi raggiunti ovvero aiutare la cliente a mettere in atto i cambiamenti desiderati, monitorando e rinforzando i progressi.

    A partire dal sintomo, dunque, individuo le principali aree problematiche e, d’accordo con la cliente, formuliamo gli obiettivi di cambiamento. In una prima fase di ascolto, utilizzo le operazioni berniane di sondaggio (interrogazione, specificazione e confrontazione) per porre domande, avere curiosità verso l’altro, sottolineare quello che sta dicendo o rilevare discordanze tra il verbale e il non verbale. In seguito, impiegherò le altre operazioni berniane della spiegazione, illustrazione e conferma per condividere con la cliente spiegazioni tecniche (p.es. sugli Stati dell’Io), dare indicazioni in maniera metaforica (mi sembra come se…), rilevare funzionamenti simili  della persona in aree diverse.   

   Tutte queste operazioni servono alla decontaminazione dell’Adulto dai pregiudizi del G e dalle illusioni del B e portare al controllo del sintomo.

   Se c’è una tendenza all’autosvalutazione, come spesso accade in una paziente psicosomatica, ovvero se la cliente tende ad assumere il ruolo di Vittima secondo il triangolo drammatico di Karpman[1], occorre valutare quali processi disfunzionali mette in atto per mantenere il suo problema (la svalutazione di sé) e qual è il collegamento con apprendimenti passati (come ha imparato a svalutarsi?). Il ruolo della vittima corrisponde alla posizione psicologica Io non sono OK > Tu sei OK e, per fare in modo che la cliente attivi le sue risorse ed arrivi ad assumere la posizione corretta, Io sono OK > Tu sei OK,  ella non deve essere assecondata nelle sue frustrazioni, in quanto ciò giustificherebbe le sue paure inconsce, ma deve essere aiutata a valutare se stessa a prescindere dal giudizio degli altri e dall'aiuto che questi potrebbero offrirgli. Va altresì sostenuta nel raggiungere la consapevolezza che ha dentro di sé tutto ciò che serve per cavarsela da sola. Per fare ciò deve essere spinta a provare concretamente le proprie azioni ed esperienze per modificare il rapporto negativo che ha con sé e con il mondo.

   Durante le sedute, attraverso il contatto empatico, cerco di comprendere il più possibile il vissuto  della cliente, tanto a livello verbale, quanto emotivo e corporeo; attivando la capacità di non-giudizio, non intervengo per dare consigli o giudizi sulle scelte, ma solo per proporre il mio sentire (ho la fantasia che tu…, come ti suona?) e, con l’ascolto attivo, riformulo ciò che la cliente porta in terapia e pongo domande per fornire nuovi stimoli, ma anche per comprendere quali sono le controingiunzioni e le ingiunzioni che ha ricevuto, che tipo di carezze cerca di ottenere e come struttura il tempo per raggiungere il suo scopo.

   Per una buona riuscita della terapia occorre stabilire l’alleanza terapeutica e questo avviene se aggancio la parte bambina della cliente e mi pongo come quel genitore che può soddisfare i bisogni che sono stati disattesi. Assumere il ruolo genitoriale significa pormi nell’atteggiamento di chi la vede perché la cliente possa affidarsi. In termini analitico transazionali, strutturalmente sono un A, funzionalmente un G.

   L’approccio della Gestalt, invece, considerando la persona come una “totalità”, mi sarà di supporto nel processo di integrazione di quelle unità che la cliente ha rinnegato e che stanno creando problemi.

   Partendo dall’osservazione di ciò che appare a livello fenomenologico, focalizzerò la mia attenzione su quelli che sono gli aspetti essenziali da tenere presenti nel processo terapeutico:

ü      la costruzione di una buona relazione terapeutica;

ü       il lavoro di consapevolezza;

ü       l’identificazione e la riappropriazione di parti del sé   precedentemente rinnegate.

   La costruzione di una buona relazione terapeutica, come ho appena detto, è un prerequisito fondamentale al fine di creare un ambiente sicuro, affettuoso, di cooperazione e di fiducia, nel quale la cliente possa “correre il rischio” di ritornare nel proprio corpo e di lasciare emergere emozioni primitive.

   Mano a mano che la relazione e la terapia si sviluppano, le “Gestalt incompiute” del passato, vale a dire quelle importanti esperienze del passato che non sono state completate, cominciano ad emergere e ad essere sperimentate nuovamente nel corpo, così come affiorano quegli schemi ripetitivi e non più funzionali (schemi muscolari fissi del corpo e schemi emotivi).

    A questo punto, il mio compito si focalizza sull’aiutare la cliente a decifrare i messaggi provenienti dal corpo, risolvere la situazione incompiuta che ha richiesto alla persona di alienare quell’aspetto del sé, e infine “sanare”, in qualche modo, le fratture che si sono verificate nell’organismo. 

   L’individuo viene sostenuto nel divenire consapevole, nel “qui ed ora", di tutti quei fattori che inibiscono il suo naturale flusso di energia. 
   Una fase importante del lavoro terapeutico è rappresentata dalla riappropriazione delle parti alienate, che avviene attraverso:

 a) l’uso del contatto diretto (la manipolazione della struttura muscolare), o dei movimenti e stiramenti al fine di rivitalizzare specifiche parti del corpo;

 b) il “dare voce” ed espressione alle emozioni e ai movimenti congelati;

 c) l’uso di tecniche integrative (tecnica delle due sedie) finalizzate al riappropriarsi e integrare nel sé ciò che è stato rinnegato o non assimilato.

   Quando la cliente comunica il suo sintomo psicosomatico, l’intervento terapeutico sarà indirizzato  verso  una lettura fenomenologica relazionale ovvero, come terapeuta, focalizzo sul “come” la cliente fa esperienza della propria esistenza fisica.

   Ad esempio, anziché parlare di un dolore, avvalendomi della tecnica gestaltica espressiva della traduzione,  le chiederei di parlare come se lei stessa fosse il dolore, quindi non più “Mi fa male il basso ventre” (nel caso p. es. di dolori pelvici), “Mi sento le gambe rigide”, ma “Sono il basso ventre che fa male”, “Io irrigidisco le gambe”.

Il passaggio da un linguaggio di tipo somatico ad uno di tipo verbale consente alla persona di stare nel dolore e di farne esperienza.

   Se dovessi notare, ad esempio, che le spalle della cliente sono curve (tipo di postura del BA), potrei  comunicarle ciò che osservo  fenomenologicamente, e proporle di verificare cosa cambia nell’esperienza di se stessa se accentua la struttura (cioè se le incurva ancora di più), e se enfatizza l’opposto di quella struttura (vale a dire se le solleva e le raddrizza).

   Nel primo caso la cliente  può esplorare la parte più familiare, accettabile, funzionale e protettiva di sé, nella seconda postura, invece, può cercare di scoprire la polarità meno consapevole. L’interesse non è incentrato sul cambiare le spalle, ma sul consentire di “fare esperienza” del significato che ha per se stessa la struttura delle sue spalle. Questo processo di esplorazione delle retroflessioni corporee facilita in un secondo momento l’acquisizione della consapevolezza da parte della cliente di cosa “sta facendo fisicamente”, portando l’esperienza del corpo in primo piano, attraverso il processo di integrazione.

   Un passo successivo sarà quello di indurre nella cliente la mentalità della responsabilità, intesa come capacità di rispondere e di scegliere le proprie reazioni. Tale senso di responsabilità porta all’identificazione con ciò che si sta compiendo, e all’espressione di tale identificazione, attraverso frasi simili: ”io ora sono consapevole di incurvare la mia schiena, di bloccare il mio respiro...”; oppure: “in che modo ora mi blocco?”; “che cosa sto bloccando ora?”. 
Quando il soggetto riconosce che può consciamente “fare” una determinata postura o tensione, comincia a percepirla meno separata ed estranea da sé, e può iniziare a riappropriarsene.
Il riappropriarsi delle parti rinnegate porta ad allargare lo spettro dell’immagine di se stessi e della propria esistenza attiva.

Il tipo di cambiamento atteso è un “processo” che coinvolge non solo il concetto di sé e gli aspetti psicologici, ma anche i vecchi schemi di risposta corporei e comportamentali che altrimenti continuerebbero ad influenzare i processi cognitivi ed emotivi.

Quando l’individuo vive e mostra un conflitto tra due parti o polarità opposte, in qualità di counselor della Gestalt, occorre considerarle entrambe come aspetti importanti del sé.

   La finalità del lavoro terapeutico non consiste soltanto nell’esprimere fisicamente i sentimenti e i comportamenti di ogni parte, ma nel risolvere il conflitto, e consentire a tutti gli aspetti del sé di mantenersi in vita e svolgere una funzione per l’intero organismo. 

Di solito le persone nel descrivere se stesse, attraverso i simboli verbali o il linguaggio delle immagini, tendono ad attribuirsi una serie di qualità o caratteristiche specifiche, ad esempio dichiarano: ”Sono forte e duro”, ma implicita in ogni descrizione vi è una qualità o caratteristica opposta (ad esempio “debole e tenero”).

Le qualità polari, di cui siamo consapevoli e con le quali ci identifichiamo, formano l’”immagine di sé”, mentre quelle qualità che abbiamo alienato ritraggono il sé rinnegato. 

   “La persona sana potrebbe non sempre approvare tutte le sue polarità, ma il fatto che sia disposta a consentirsi la loro consapevolezza è un aspetto eloquente della sua forza interiore” (Zinker, 1977).

   Un modo per dare inizio a questo processo si fonda sul verbalizzare il significato dell’espressione corporea, mentre ci si impegna nel comportamento, vale a dire nel “dare parole” alle polarità opposte manifeste nel corpo. 

   Attraverso ciò che sperimenta durante le sedute, la cliente può trovare nuovi modi di essere, prima con il counselor, nel contesto rassicurante del setting terapeutico, successivamente con gli altri, nel suo mondo quotidiano, attraverso un’espressione piena e consapevole.

   Durante il processo terapeutico l’attenzione è focalizzata  sui meccanismi di blocco che l’individuo utilizza per mantenere il proprio problema (cosa fa di non positivo per mantenere il problema?) o per restare nel conflitto (meccanismi di separazione o meccanismi di condensazione?). L’intervento verrà orientato di conseguenza alla costruzione di nuovi modi di agire necessari perché la cliente possa mettere in atto comportamenti più funzionali per sé e per il raggiungimento dei propri obiettivi.



[1] Il triangolo drammatico di S. Karpman teorizza che nelle relazioni vengono interpretati tre ruoli diversi: il Salvatore, il Persecutore e la Vittima. La Vittima valuta sé e i suoi comportamenti sempre in modo negativo, con il conseguente atteggiamento di forte inferiorità nei confronti degli altri.

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